The Boys – stagione 1, recensione: il superpotere è abuso

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Negli ultimi dieci anni i Marvel Studios hanno dominato il panorama dei cinecomic e capito come aggirare il problema della saturazione del mercato cambiando la proposta, attirando a sé una platea sempre più disomogenea e non necessariamente appassionata di fumetti e prediligendo uno schema di narrazione basato  sulla co-dipendenza dei titoli e sui generi americani più in voga (avventura, thriller, teen movie, commedia, sci-fi). Dal canto loro, tutti i competitors sono stati chiamati ad una sfida quasi impossibile, visti i risultati straccianti, ovvero fare qualcosa di diverso dall’offerta Marvel: la DC, associata alla Warner Bros., ha fallito l’esperimento ombra di universo condiviso (almeno al cinema, non in tv) e ora si sta concentrando sui singoli progetti; Netflix aveva tentato l’interconnessione tra personaggi ma Daredevil, Jessica Jones e gli altri Defenders non sono andati oltre la terza stagione; e che dire di Prime Video, la più “giovane” e fresca tra le aziende a gettarsi nella mischia di produzioni originali a tema? La risposta arriva con The Boys, lo show ideato da Erik Kripke (Supernatural), Seth Rogen e Evan Goldberg sulla base del fumetto di Garth Ennis (Preacher), lo stesso che la DC rifiutò di continuare perché troppo esplicito e crudele nei confronti dei protagonisti super.

La storia è molto semplice e insieme infarcita di argomentazioni complesse che riflettono la società attuale. Un mondo dove esistono centinaia di esseri umani superdotati ma in cui solo pochi eletti vengono selezionati per entrare nel team governato dalla Vought, una multinazionale che sfrutta il brand per arrivare all’ala più importante del governo americano, la difesa e il controllo delle armi, enfatizzando il concetto di altruismo insito nell’eroe e al contempo mercificando tutto ciò che vi ruota attorno. Da un’impresa nasce un film, giocattoli, aneddoti da rivelare durante i talk show, dirette streaming, e via dicendo.

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Il potere, nell’universo di The Boys, non è responsabilità come insegnava lo zio Ben a Peter Parker, ma abuso

Il potere, nell’universo di The Boys, non è responsabilità come insegnava lo zio Ben a Peter Parker, ma abuso, e chi resta fuori dal circo è costretto a confrontarsi con un’assoluta inettitudine, e questa mancanza di personalità dell’individuo “normale” coincide spesso nella figura del consumatore passivo (qui rappresentato da Hughie Campbell, il ragazzo che deciderà di ribellarsi dopo l’omicidio della fidanzata causato da A-Train).

Ne deriva quindi un discorso meno banale del solito sulla differenza di classe, sui rapporti che gestiscono lo scambio tra piani alti (politica, economia) e bassi (il popolo), e parallelamente sulla manipolazione dell’opinione pubblica e sulle lobby USA del commercio di armi senza mezze misure, andando dritto al cuore dell’argomento con un linguaggio che evita le metafore e i virtuosismi dell’estetica alla Zack Snyder. Inoltre – e i primi due episodi lo testimoniano – il taglio della serie sembra mantenere quel difficile equilibrio tra ironia consapevole e dramma di largo consumo, non risparmia le sue accuse contro un sistema di cui è vittima e carnefice ed è perfetto per raccontare il punto di non ritorno e il cortocircuito dell’immaginario da cinefumetto al quale ci siamo ormai abituati.

Con la speranza che il seguito sia all’altezza del prologo, e ce lo auguriamo, resta il fascino perverso del vedere capovolti i ruoli di eroe e antieroe in una soluzione di continuità dove non esiste né l’uno né l’altro, ma solo una zona neutrale tremendamente “umana” e vicina alla realtà. The Boys sarà disponibile su Amazon Prime Video dal 26 luglio.

Sommario

Il potere, nell’universo di The Boys, non è responsabilità come insegnava lo zio Ben a Peter Parker, ma abuso
Cecilia Strazza
Cecilia Strazza
Nata a Roma nel 1990, Cecilia Strazza si è occupata per anni di analisi del film e critica cinematografica, collaborando con le riviste online Cinefilos.it e Sentireascoltare.com. Con Bakemono Lab ha pubblicato i volumi “Don’t you (forget about me): il cinema teen di John Hughes”, “Just like honey: il cinema di Sofia Coppola”, e con Bietti il saggio “Greta Gerwig: lo sguardo nuovo del cinema femminile“. Insieme a Chiara Guida e Davide Cantire è autrice e conduttrice del podcast “Cinema e…” e dal 2020 lavora in Wildside.

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