Come siamo passati da Apocalypse Now a Guardiani della Galassia?

Guardiani della Galassia Vol 3

Anche se non ne sono completamente sicuro, ho il forte sospetto che la colpa sia di Jack Sparrow. E in fondo mi dispiace, perché vent’anni fa vedendo La maledizione della prima luna mi sono divertito un mondo. Il fatto è che l’enorme e probabilmente inaspettato – almeno a quei livelli – successo del film di Gore Verbinski ha confermato definitivamente alla Disney che quella determinata formula funzionava: creare un prodotto capace di intrattenere sia con lo spettacolo degli effetti speciali che grazie alla gioiosa frivolezza di personaggi capaci di muoversi con grazia guascona tra serio e faceto. Soprattutto faceto.

 

In principio c’era Jack Sparrow

Insomma, per sintetizzare in maniera magari anche fin troppo sommaria, tale ricetta prevedeva spettacolo + ritmo + risate. Con le dovute variazioni derivate principalmente da registi o attori più o meno capaci di inserire in un film il proprio “tocco”, non si riduce a questo la produzione della Disney/Marvel degli ultimi vent’anni? E di conseguenza in larga parte anche quella delle altre major che hanno tentato di riprodurre tale successo senza per altro riuscirci? Le eccezioni, se ci sono, si possono purtroppo contare sulle dita di una mano.

Le cause di questo sostanziale impoverimento del cinema mainstream hollywoodiano sono molteplici, ampiamente dibattute e analizzate altrove con competenza maggiore. Le Major sono sempre più spinte da ragioni economiche a puntare su un numero minore di film che posseggono un budget sempre più esoso: sembra quasi che non possano fare altro se non continuare con la politica dei cinecomic, sequel, remake, spin-off, reboot o come preferite chiamare questo tipo di produzioni: conviene perché il pubblico giovanile è già “pronto”. E sempre meno invogliato verso la novità. Non mi interessa continuare a dibattere questo meccanismo per due motivi: prima di tutto perché non ritengo si possa ormai più fermare tale processo; in secondo luogo so per certo che addentrandomi in tale dissertazione finirei per fare dietrologia, probabilmente anche spicciola.

So bene che il cinema hollywoodiano è cambiato sotto molti punti di vista anche in maniera radicale, e io alla soglia dei cinquant’anni forse non sono più in grado di comprenderne in pieno le nuove coordinate, nelle modalità dello storytelling e magari anche estetiche. Come racconta il titolo di questo articolo, per fortuna (e qui mi permetto di diventare un po’ spocchioso) ho vissuto in una sala cinematografica i tempi in cui Hollywood investiva grandi budget in film di autori come Francis Ford Coppola o Michael Cimino, tanto per citare i più “titanici”; in cui il maggior incasso dell’anno in America, con tanto di Oscar per il miglior film, diventava un dramma familiare con protagonisti un cinico Tom Cruise e suo fratello autistico Dustin Hoffman; in cui il tessuto sociale veniva messo alla prova dallo “scandalo” di Martin Scorsese e il suo L’ultima tentazione di Cristo. Tempi diversi, passati, che spero tornino per il bene del cinema stesso anche se lo dubito fortemente. Non soltanto l’industria è cambiata ma anche la società, e sotto molti punti di vista (non tutti) è davvero un bene.

Una prospettiva più consapevole

Qual è dunque il senso di questo articolo? La verità è che vorrei davvero si tornasse almeno ad adoperare una prospettiva un poco più conscia riguardo quello che stiamo vedendo in sala a livello di cinema mainstream. Negli ultimi giorni ho letto, e non soltanto sui social media, lodi quasi incondizionate a Guardiani della Galassia Vol. 3 di James Gunn, cinecomic il quale mi ha senz’altro intrattenuto per due ore e mezzo. Il mio dubbio riguardo questo titolo è il seguente: in base a quale criterio viene considerato di così elevato valore? Perché sarebbe il miglior film della Disney/Marvel da qualche anno a questa parte? Se questo è il motivo allora credo si debba ribadire che stiamo parlando di quella stessa Major che nell’ultimo ventennio, come scritto all’inizio, ci ha rifilato una serie di prodotti intenti ad offrire al pubblico, giovane o meno che si voglia, un intrattenimento basato su formule talmente preconfezionate da non permettere alcun tentativo di problematizzazione o, peggio ancora, originalità.

Sono le scenografie pulp e una colonna sonora da revival anni ‘80 a fare di Guardiani della Galassia Vol. 3 un film originale? É la backstory di un procione parlante o la presenza di bambini e animali indifesi a farne un film “profondo”? In base a quale sia la risposta a tali domande bisogna allora a mio avviso porne un’altra, a questo punto davvero importante: un film mainstream hollywoodiano contemporaneo piace per il suo valore intrinseco o perché ogni tanto alcuni di questi prodotti riescono a raggiungere il picco di standard (soprattutto) contenutistici ormai ridotti ai minimi termini? Insomma, alcuni di questi cosiddetti blockbuster sono davvero buoni o li percepiamo come tali perché non abbiamo più di meglio?

Pur conscio di non appartenere ormai più a quella fascia di spettatori che in qualche modo indirizza il canoni dell’entertainment contemporaneo, sono altresì convinto che al cinema mainstream possiamo e dobbiamo chiedere di più. Diversificazione, approfondimento, spessore emotivo, il tutto inserito in sceneggiature che ci permettano di entrare realmente in contatto con personaggi e vicende. Io, per quanto possa essere ben scritto il suo arco narrativo, faccio fatica a identificarmi con un procione…

Dov’è l’anima dell’intrattenimento?

Il cinema è e deve rimanere anche intrattenimento, non ho alcun dubbio a riguardo. Il problema è che la Hollywood di oggi sembra aver dimenticato che si può produrne anche stimolando lo spettatore a riflettere su quello che si sta vedendo. Sia altrettanto chiaro che non punto il dito soltanto contro i cinecomic della Disney/Marvel, della Warner/DC, o contro i Fast & Furious di turno: se l’offerta di cinema destinata al grande pubblico fosse maggiormente stimolante, se i budget fossero decisi anche dallo spessore artistico di un progetto, probabilmente andrei a vederli libero da quel fastidioso preconcetto che ormai credo di aver sviluppato.

Il fatto è che quando entro in sala per assistere a uno qualsiasi di questi prodotti so già esattamente cosa sto per andare a vedere, a cambiare è soltanto l’intelligenza nel confezionamento. Quindi quando leggo che al nome di James Gunn viene accostato il concetto di “autore”, vorrei puntualizzare che per inserire il proprio “tocco” dentro un film di cassetta a mio avviso serve qualcosa in più che una colonna sonora da juke-box e quei cinquanta, cento milioni di dollari da spendere in effetti speciali. Spettacolo non significa necessariamente stupore, meraviglia, magari anche inquietudine. Quelle sono sensazioni che Hollywood non sa più produrre, ormai relegate a cineasti che hanno ancora il coraggio di sbagliare nella ricerca di una voce propria.

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