Donnybrook – Il combattente: la spiegazione del finale del film

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Donnybrook – Il combattente nasce dall’omonimo romanzo di Frank Bill, autore statunitense noto per una scrittura secca e brutale, radicata nell’America rurale più marginale. Questo film thriller ne raccoglie l’eredità narrativa, traducendo sullo schermo un universo fatto di violenza latente, disperazione economica e personaggi sospesi ai margini della società. La storia ruota attorno a un torneo clandestino di combattimenti a mani nude, il Donnybrook appunto, che diventa simbolo di un riscatto illusorio e di una sopravvivenza giocata sul corpo e sul dolore.

Alla regia c’è Tim Sutton, cineasta indipendente che prosegue qui il suo interesse per un cinema rarefatto, contemplativo e profondamente fisico. Sutton evita qualsiasi spettacolarizzazione della violenza, preferendo uno sguardo asciutto e quasi documentaristico, fatto di silenzi, paesaggi spogli e corpi segnati. La messa in scena è minimalista, spesso claustrofobica, e accompagna lo spettatore dentro un mondo in cui ogni scelta sembra dettata dalla necessità più che dal desiderio. In questo senso, Donnybrook – Il combattente si colloca perfettamente nella tradizione del cinema indie americano più cupo e disilluso.

Per genere e temi, il film può essere accostato a opere come Blue Ruin di Jeremy Saulnier, Il fuoco della vendetta – Out of the Furnace di Scott Cooper o Shotgun Stories di Jeff Nichols, con cui condivide l’attenzione per l’America impoverita e per personaggi schiacciati da un destino quasi inevitabile. Tuttavia, Donnybrook – Il combattente si distingue per il suo tono ancora più astratto e morale, dove la violenza non è mai catartica ma solo corrosiva. Nel resto dell’articolo, entreremo nel dettaglio del finale del film, proponendone una spiegazione e un’analisi dei suoi significati più profondi.

Margaret Qualley in Donnybrook - Il combattente
Margaret Qualley in Donnybrook – Il combattente

La trama di Donnybrook – Il combattente

Il film ha per protagonista Jarhead Earl (Jamie Bell), un ex marine statunitense che vive una vita di stenti con la moglie e i due figli in una roulotte. Disperato e alla ricerca di un futuro migliore per la sua famiglia, Earl si iscrive al Donnybrook, un brutale torneo clandestino di pugilato a mani nude con un cospicuo premio in denaro. Per racimolare i soldi necessari all’iscrizione, l’ex marine rapina un’armeria locale. Earl deve anche fare i conti con Chainsaw Angus (Frank Grillo), uno spacciatore di metanfetamine psicopatico con cui la moglie ha un grosso debito. Angus, un tempo leggendario pugile di combattimenti clandestini, ora spaccia con la sorella Delia (Margaret Qualley).

La situazione degenera quando Angus e Delia trovano il loro laboratorio distrutto da un incendio. Assetato di vendetta e con il bisogno di riavviare l’attività, Angus costringe Delia a minacciare di morte un loro socio, Eldon (Pat Healy), per ottenere denaro. Il continuo abuso e l’umiliazione subiti spingono Delia a un gesto estremo e spara al fratello. Credendolo morto e venuta a conoscenza dei piani di Earl, Delia prende una scorta di droga e si dirige anche lei al Donnybrook. Angus, però, non è morto e dopo aver rubato un’auto e ucciso un innocente, giura di ritrovare sua sorella e la metanfetamina rubata.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Donnybrook – Il combattente, la narrazione converge in modo inesorabile verso l’arena clandestina che dà il titolo al film, trasformando il torneo in un vero e proprio punto di non ritorno. Mentre Earl arriva al luogo dell’incontro con la speranza di un riscatto economico per la sua famiglia, le altre linee narrative si intrecciano tragicamente. Whalen viene mortalmente ferito nel suo tentativo solitario di fermare Angus, segnando il fallimento di qualsiasi intervento esterno o istituzionale. La violenza, ormai, non ha più freni né argini morali e si prepara a esplodere definitivamente.

La tragedia si compie poco prima dell’inizio del Donnybrook: Angus rintraccia il figlio di Earl e lo uccide, spezzando definitivamente ogni residua illusione di salvezza. Subito dopo, raggiunge Delia e la trascina nel bosco, dove la strangola, chiudendo anche il suo arco narrativo nel segno dell’abuso e dell’impossibilità di fuga. Quando il torneo ha inizio, il contesto è ormai quello di un inferno primordiale: una gabbia di metallo, corpi che si massacrano senza regole, fino a quando restano in piedi solo Earl e Angus. Lo scontro finale diventa inevitabile e assoluto.

Frank Grillo in Donnybrook - Il combattente
Frank Grillo in Donnybrook – Il combattente

Il confronto conclusivo tra Earl e Angus non è solo fisico, ma profondamente simbolico. Durante la pausa prima dell’ultimo round, Angus rivela di aver ucciso il figlio di Earl, trasformando il combattimento in una resa dei conti personale e definitiva. In quel momento, il Donnybrook perde ogni valore economico o competitivo e diventa puro strumento di vendetta. Quando Earl uccide Angus, gridando il proprio dolore, il gesto non appare liberatorio, ma disperato, frutto di un mondo che ha lasciato come unica risposta possibile la distruzione dell’altro.

Il finale porta così a compimento i temi centrali del film: la violenza come ciclo ininterrotto, l’illusione del riscatto attraverso la forza fisica e l’assenza di reali vie di fuga per chi vive ai margini. Earl vince il combattimento, ma ha già perso tutto ciò che dava senso alla sua lotta. Sutton e Bill suggeriscono che non esiste redenzione possibile all’interno di questo sistema brutale: anche la vittoria è macchiata dal sangue e dal vuoto, e non apre alcun futuro realmente diverso.

Donnybrook – Il combattente lascia allo spettatore un messaggio cupo e radicale: quando un contesto sociale è fondato sulla miseria, sull’abuso e sulla sopraffazione, ogni tentativo di riscatto individuale rischia di trasformarsi in un’ulteriore condanna. Il film rifiuta qualsiasi consolazione morale, mostrando come la violenza non generi mai vera libertà, ma solo nuove perdite. Ciò che resta, alla fine, è un senso di desolazione profonda e la consapevolezza che senza un cambiamento strutturale, umano e collettivo, il ciclo non può che ripetersi.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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