Arrivato nelle sale il 14 febbraio, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo si sta guadagnando l’attenzione di un pubblico molto variegato, che lo ha già riconosciuto come uno di quei film metacinematografici di cui la nostra industria ha bisogno, e che ne porta in scena magia e atmosfere senza dimenticarsi di trattare tematiche importanti quali il femminicidio. Ed è in realtà proprio da qui che parte il lungometraggio del regista, il quale traccia le coordinate della storia ispirandosi liberamente a un fatto di cronaca nera che sconvolse l’Italia degli anni Cinquanta, denominato il caso Montesi.
L’inizio
È il 9 aprile 1953 quando sulle spiagge di Torvaianica una giovanissima muore infatti in circostanze sospette. Viene ritrovata riversa sulla battigia, priva di alcuni indumenti fra cui reggicalze e scarpe, ma nessuno capisce cosa sia accaduto. Forse un malore mentre tentava di fare un pediluvio in acqua. O forse un omicidio? La vittima è Wilma Montesi, appartenente alla Roma popolare, con un sogno nel cassetto mai realizzato: farsi strada in quel mondo di luci – e ombre – che è il cinema, nell’allora Hollywood sul Tevere, Cinecittà, luogo da sempre magico e, se vogliamo, senza tempo. Un cold case che coinvolse lo Stivale intero, dove l’estasi dello scandalo inebriava una società che piuttosto che piangere la vittima e chiedere per essa giustizia, speculava e formulava congetture, ipotesi, storie, per riempire le pagine dei grandi rotocalchi, abbandonando un’ “ingenuità” che non sarebbe più tornata.
Fra i presunti colpevoli di un assassinio in seguito mai chiarito ci furono politici di un certo spessore e alcuni personaggi della Capitale elitaria, che trasformarono a tutti gli effetti la morte di Wilma Montesi nel primo caso dal forte rilievo mediatico. Un evento amaro e triste, fatto di sogni infranti, verità non dette e abuso del potere. Elementi serviti a Saverio Costanzo per assestare dunque l’ossatura narrativa del suo Finalmente l’alba, da cui parte un racconto di riscatto, reso possibile grazie a Mimosa, protagonista di un percorso di crescita avvenuto in una sola notte, talmente densa e articolata da sembrare una vita intera. Notte di festa dove però fra alcol, decadenza e illusioni, Mimosa scrive la sua storia, e con coraggio, addentrandosi nei chiaroscuri di divi o aspiranti tali, scopre se stessa. Ma a Wilma cosa è successo?
Il ritrovamento di Wilma sulla spiaggia
I riferimenti al caso Montesi in Finalmente l’alba sono tanti e influenzano il processo di formazione della stessa protagonista. Oltre ad alcune immagini visivamente potenti e simboliche (una fra queste l’ “incontro” fra Mimosa e Wilma a Cinecittà, con la scoperta da parte della prima dell’omicidio attraverso un filmato che alcuni uomini stanno guardando in sala), ci sono dei personaggi inseriti nel contesto filmico che – se non si conosce la storia – coglierne il significato e l’importanza della loro presenza risulta più difficile. Perciò, facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa successe dopo la scoperta del corpo di Wilma Montesi, e chi fu accusato di essere implicato nella sua morte. Lo diciamo subito: all’epoca ci furono diverse versioni dei fatti e come accennavamo poco prima la risoluzione del caso non c’è mai stata, per cui quello che spieghiamo sono le linee principali su cui si sono sviluppate le indagini.
Il corpo della Montesi venne ritrovato da un manovale che faceva colazione sulla spiaggia, Fortunato Bettini, l’11 aprile del 1953, ancora in buono stato, indi per cui il medico legale stabilì che la morte poteva essere avvenuta almeno quarantotto ore prima e la causa, inizialmente, la attribuirono a un malore che la giovane ebbe mentre bagnava i piedi in acqua. Scivolata dopo aver perso i sensi, sarebbe di conseguenza annegata. Esclusero la violenza sessuale, nonostante poco dopo un altro medico constatò che le tracce di sabbia negli indumenti intimi potevano invece essere conferma di un abuso. Nonostante questo, la polizia diede per buona l’ipotesi dell’incidente e il caso si chiuse.
Le nuove ipotesi e la riapertura delle indagini
Il 4 maggio, però, ci furono degli sviluppi. Il quotidiano napoletano Roma ipotizzò che ci fosse un grosso complotto dietro la morte di Wilma, e che qualcuno voleva proteggere i veri assassini. A esso, si unirono altre testate rinomate quali Corriere della Sera e Paese Sera, di cui quest’ultimo pubblicò un articolo in cui diceva che un certo “biondino” aveva portato in questura l’abbigliamento mancante di Wilma. L’identità, fino alla fine di maggio, non fu svelata, pur i giornalisti sapendo di chi si trattasse. Solo più avanti è una rivista comunista – Vie Nuove – a confermarlo, riconoscendo nel “biondino” la figura di Piero Piccioni, figlio del Vicepresidente del Consiglio Attilio Piccioni. Piero era anche compagno di Alida Valli. La notizia sollevò un certo scalpore, e lo scandalo continuò a essere alimentato fra i cittadini e nei rotocalchi stessi, finché Piccioni non querelò per diffamazione il giornalista dell’articolo, Marco Cesarini Sforza. A ottobre dello stesso anno è il direttore del periodico scandalistico Attualità, Silvano Muto, a riportare l’attenzione sulla morte della giovane. Da quanto scrisse, aveva svolto alcune indagini nella Roma bene dove c’era una certa Adriana Concetta Bisaccia, giovane che aveva raccontato di aver partecipato assieme a Wilma a un’orgia in una villa a Capocotta, sul litorale romano.
Lì le due avevano interagito con personaggi famosi – soprattutto politici – e Montesi aveva in quell’occasione assunto droghe e alcol che l’avrebbero fatta sentire male. Non solo, dopo il mancamento, secondo Bisaccia qualcuno l’avrebbe portata incosciente sulla spiaggia dove sarebbe stata poi abbandonata. Chi venne citato nell’articolo come responsabile fu, di nuovo, Piero Piccioni e poi Ugo Montagna, il proprietario della villa. Pensiero comune da lì in poi fu che le forze dell’ordine stavano insabbiando tutto per difendere tali noti esponenti. Più avanti, un’altra ragazza che si dichiarava essere stata amante di Montagna, Maria Augusta Moneta Caglio Bessier d’Istrai, scrisse un memoriale dove confermò quanto raccontato dai giornali fino ad allora, ossia che Piccioni e Montagna erano coinvolti, e che con Montesi quest’ultimo aveva una liason. In seguito, si disse che Ugo Montagna era stato addirittura informatore dei nazisti, oltre che essere responsabile di organizzare incontri con diverse donne nella sua tenuta per soddisfare necessità dei suoi invitati. Ufficialmente, il caso sull’omicidio Montesi fu riaperto a marzo del ’54 e vennero arrestati sia Montagna che Piccioni, il primo accusato di omicidio colposo e uso di droghe, il secondo di favoreggiamento insieme al questore Saverio Polito, per il medesimo motivo.
Un caso mai risolto
Arriviamo al 1957. Dopo aver indetto un processo penale per Montagna, Piccioni e Polito, le cose cambiarono ancora. Alida Valli, infatti, andò in soccorso di Piccioni, sganciando un alibi in suo favore, in cui diceva che nei giorni prima della morte di Wilma lui si trovava con lei a Ravello e che se ne era andato da lì il 9 aprile ma solo dopo le due di pomeriggio, per recarsi poi da un medico in quanto aveva dolori alla gola. La versione fu confermata, fra gli altri, anche dall’infermiere che se ne prese cura a casa. Montagna, invece, disse che non aveva mai conosciuto Montesi, mentre Polito confermò di nuovo la tesi ufficiale del malore in acqua. Alla fine, il tribunale li diede per innocenti, assolvendoli con formula piena. Da lì in poi il caso è stato avvolto sempre più nel mistero e non si è mai riuscito a capire chi fosse il colpevole. Molte sono le piste tracciate, ma ancora oggi è difficile credere alla tesi secondo cui Wilma Montesi si sia sentita male. Una cosa è certa: dalla scoperta del corpo, l’attenzione non fu mai per la ragazza, bensì per tutto quello che c’era dietro, tanto da surclassare la tragedia.
Mimosa, non solo Wilma
Saverio Costanzo non è stato il primo a parlare del caso Montesi, né tantomeno a portare sul grande schermo quella che fu l’Italia del Dopoguerra, fra contraddizioni, illusioni e abuso dell’informazione. Nel 1960, con La dolce vita, Federico Fellini si immerge completamente in quel mondo oramai privo di scrupoli, e attraverso l’odissea di Marcello, catapulta il pubblico in quella che era la società degli anni Cinquanta: una Babilonia hollywoodiana governata da un’euforia incontrollata.
In Finalmente l’alba ci sono diversi collegamenti e suggestioni del film del regista romagnolo: dalla rappresentazione di una decadenza, ai paparazzi e giornalisti invadenti, alle dive (anche solo negli abiti Josephine Esperanto ricorda la Sylvia di Anita Ekberg), fino alla festa in una villa sul litorale romano, dove nel caso de La dolce vita il giorno seguente viene ritrovato morto sulla spiaggia un pesce strano, chiamato “mostro marino”, che simbolicamente rappresenta Wilma Montesi. Se è vero che Mimosa ripercorre gli stessi passi di Wilma, come afferma Costanzo, e lo fa con una consapevolezza diversa poiché è a conoscenza di quanto accaduto (il viaggio di Mimosa si svolge, come abbiamo accennato, poco dopo), è vero anche che non ne aderisce totalmente, avendo Mimosa non solo un epilogo differente, ma una dimensione di sé diversa che le permette di non essere risucchiata in quel vortice infame.
C’è un collegamento con la Paola felliniana?
Ecco che da qui nasce una riflessione molto particolare, che potrebbe collegare Mimosa a Paola, l’angelica ragazza che Marcello incontra ne La dolce vita in una trattoria sul mare dove quest’ultima lavora. Il giornalista, ne apprezza di lei non solo la semplicità, ma la purezza delle sue aspirazioni mentre racconta di voler diventare una dattilografa. Lei non è disillusa come Marcello, ed infonde una tenerezza sia nell’atteggiamento che nello sguardo molto simile a Mimosa. Paola la ritroviamo nel finale de La dolce vita sulla stessa spiaggia dove giace il pesce morto, all’indomani del festino a cui Marcello ha partecipato (un parallelismo con Mimosa, la quale in una delle scene finali si ritrova proprio come Paola sulla spiaggia dove è stata rinvenuta Wilma).
In quella scena, vediamo Paola non riuscire a parlare con Marcello, ma capiamo che è felice, forse è riuscita pure a realizzare il suo sogno. Cerca di farlo andare verso di lei, prova in tutti i modi a farsi sentire, ma non c’è niente da fare. Sembra impossibile udirla. Marcello ci prova e ci riprova, poi se ne va. Da sempre questo finale rappresenta l’incomunicabilità fra due mondi opposti, quello puro della ragazza e quello calante e corrotto di Marcello, il quale si dice non abbia compreso le sue parole perché oramai smarritosi e in una condizione di perdizione irrecuperabile. Un contrasto che si nota tanto ne La dolce vita, mettendo a confronto Paola e Marcello, quanto in Finalmente l’alba, fa la medesima cosa con Mimosa e tutto il resto dei partecipanti alla festa nella villa dove la protagonista trascorre l’indimenticabile notte.
Finalmente l’alba e Fellini
Come vediamo in Finalmente l’alba, Mimosa si scontra con una furiosa realtà che cade man mano in pezzi durante tutta la narrazione, ma sceglie di rimanere se stessa, di preservare la sua semplicità, la sua vera essenza, a favore di una crescita consapevole. Paola, allo stesso modo, sceglie di non raggiungere Marcello, ma bensì di invitarlo a fare il contrario, e in quel caso è come se opponesse la stessa resistenza di Mimosa. Non cade, non cede.
Rimane fedele a se stessa. Il contrasto, dunque, è molto simile, così come paiono chiari i punti di contatto fra le due, e per cui ci fa chiedere: se ciò che è rappresentato simbolicamente da Fellini, attraverso Paola, ci fosse stato mostrato concretamente da Saverio con Mimosa? Fra l’altro, il fatto che Paola sia sullo stesso lembo di battigia dove è stato ritrovato il pesce, quindi la Montesi, potrebbe rafforzare questa connessione fra le due. Da una parte, infatti, c’è la vita, dall’altra la morte. Da una parte Wilma, dall’altra Mimosa e Paola, e quel lieto fine, quel riscatto, che i registi, come noi tutti, volevano per un’anima che forse così potrebbe trovare la pace. E allora, cosa ha fatto Saverio Costanzo con Finalmente l’alba? Ha dato a Wilma Montesi la possibilità di vivere ancora. Le ha dato quel futuro che immaginava.