Uno dei capitoli più bui e vergognosi nella storia del razzismo istituzionalizzato in Florida riguarda decine di bambini, perlopiù afroamericani, sottoposti a violenze, abusi sessuali e perfino uccisi in un riformatorio segreto, teatro di un regime del terrore durato decenni. Questa triste vicenda ha ora trovato nuova voce grazie al film I ragazzi della Nickel (Nickel Boys), diretto da RaMell Ross e candidato come Miglior film e Miglior sceneggiatura non originale ai premi Oscar. Si tratta di un’opera profondamente commovente e inquietante, che attraverso la scelta di proporre il racconto in totale soggettiva dei protagonisti, porta a confrontarsi con questa drammatica storia vera.
La trama di I ragazzi della Nickel
Il racconto del film si svolge nel 1962 a Tallahassee, in Florida e vede protagonista il giovane afroamericano Elwood Curtis (Ethan Herisse). Studente ambizioso, Elwood è vittima di un episodio di discriminazione razziale quando è ingiustamente accusato del furto di una macchina. Viene dunque mandato in un riformatorio maschile, il terribile Nickel Academy, del tutto simile a un carcere di massima sicurezza. Un luogo regolamentato dalla corruzione e dalla violenza. Lì fa amicizia con Jack Turner (Brandon Wilson), un adolescente che lo aiuta a sopravvivere alla segregazione, agli abusi e ai maltrattamenti.
La storia vera dietro il film
In realtà i due giovani protagonisti e l’istituto in cui vengono rinchiusi sono frutto della finzione, ma il contesto storico in cui la storia è ambientata – l’epoca delle leggi di segregazione razziale Jim Crow e della supremazia bianca – è tristemente autentico. L’adattamento del romanzo di Colson Whitehead, vincitore del Pulitzer nel 2019, porta infatti alla luce verità scioccanti sugli orrori subiti dai ragazzi della Arthur G. Dozier School for Boys, evidenziando le torture inflitte dallo staff e dalle guardie e il sistematico insabbiamento della verità da parte delle autorità bianche.
“Quei ragazzi sono stati letteralmente sepolti, così come si è cercato di occultare la loro storia,” ha dichiarato Ross. “Ora la vicenda di Dozier è diventata parte della storia accademica, della letteratura e del cinema.” Più che un’interpretazione artistica, la Nickel Academy di Ross è una ricostruzione essenziale e fedele della Dozier School – nota in origine come Florida Reform School for Boys – attiva dal 1900 fino alla sua chiusura nel 2011 nella cittadina di Marianna, nel Panhandle della Florida.
Uno degli edifici più inquietanti della scuola, la Casa Bianca, era il luogo in cui bambini di appena sei anni venivano incatenati ai tavoli e frustati fino a perdere i sensi per piccole infrazioni. Molti sopravvissuti a quel luogo, oggi però deceduti, hanno descritto la scuola come una “prigione dello stupro”, mentre altri ricordano le sevizie inflitte con la fibbia metallica di una cintura in pelle, soprannominata “bellezza nera”. In numerosi casi, alcuni ragazzi sparivano misteriosamente durante la notte e non venivano mai più ritrovati vivi.
Nel 2013, un team di antropologi della University of South Florida (USF) ha avviato uno scavo durato tre anni, portando alla luce i resti di molte delle vittime e ispirando sia il romanzo di Whitehead che il film di Ross. Guidata dalla dottoressa Erin Kimmerle, la squadra di ricerca ha scoperto ben 55 tombe, alcune situate nel cimitero improvvisato Boot Hill, riprodotto nel film con realismo crudo e marcato da semplici croci di metallo. Altri corpi sono stati ritrovati sparsi nel sito, molti con evidenti ferite da arma da fuoco o segni di percosse, oltre a tracce di malnutrizione e infezioni.
Otto persone, tra cui due insegnanti, perirono invece in un incendio nel 1914, mentre altre undici morirono durante l’epidemia di influenza del 1918. I registri della scuola, spesso incompleti, riportavano solo 31 sepolture tra il 1914 e il 1973, ma le ricerche dell’USF hanno stimato almeno 98 decessi. Non tutti i corpi sono però stati recuperati e nel 2019 sono state individuate altre 27 possibili tombe. Grazie a un’accurata analisi del DNA, Kimmerle – che ha contribuito come consulente antropologica per il film – è riuscita a identificare alcune delle vittime, offrendo una parvenza di giustizia alle loro famiglie.
Uno dei casi più emblematici è quello di George Owen Smith, che finì nel riformatorio dopo essere stato trovato su un’auto rubata. Nel 1940, a soli 14 anni, scomparve. I responsabili della scuola comunicarono ai genitori che il ragazzo era fuggito, per poi riferire in seguito che era morto di polmonite. Un testimone, però, vide il personale portarlo alla Casa Bianca e poi trascinarlo fuori privo di sensi. Nel 2014, sua sorella Ovell Krell ha raccontato al Guardian che l’identificazione del corpo e la sua restituzione hanno segnato la fine di un lungo e doloroso percorso. Kimmerle ha apprezzato l’accuratezza con cui I ragazzi della Nickel ha portato sullo schermo le scoperte del suo team.
Ha inoltre sottolineato come il film abbia catturato la brutalità di un’epoca in cui giovani afroamericani potevano essere internati per motivi futili, come fumare, saltare la scuola o essere giudicati “incorreggibili”. “La quantità di storie, di morti e abusi, e l’ingiustizia stessa della loro detenzione è sconcertante,” ha affermato. “Tutti quei ragazzi che sono morti sono la prova di un sistema che ha privato i bambini di ogni tutela legale, permettendo il loro arresto senza il coinvolgimento dei genitori e la loro detenzione in campi di lavoro per anni.”
Raccontare questa vicenda è complesso e spesso lascia il pubblico oppresso dalla tristezza, ha ammesso la ricercatrice, ma è anche una storia di ricerca di giustizia e speranza per le famiglie delle vittime. Ross, dal canto suo, auspica che il film venga percepito come un’opera urgente e necessaria, soprattutto in un’epoca in cui le battaglie per l’equità e l’inclusione sono minacciate. Sebbene nel 2017 la Florida abbia riconosciuto ufficialmente gli abusi perpetrati a Dozier e istituito un fondo di risarcimento da 20 milioni di dollari per le vittime, il governatore Ron DeSantis è stato accusato di ostilità nei confronti della comunità afroamericana e di voler cancellare la memoria storica del razzismo istituzionale.
“Pensare a come la storia venga continuamente cancellata e, allo stesso tempo, possa trasformarsi in un monumento esperienziale mi ha molto colpito,” ha detto Ross. “Fare un film come questo significa rendere giustizia, almeno visivamente. È sempre il momento giusto per raccontare queste storie, ma diventa ancora più necessario quando certe dinamiche sembrano non avere fine.” Il regista ha poi concluso affermando: “Mi auguro di sbagliarmi, ma temo che anche tra dieci anni questo sarà ancora un film attuale.”