Lady Bloodfight: la spiegazione del finale del film

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Lady Bloodfight è il film d’azione del 2016 diretto da Chris Nahon, regista francese noto per il suo lavoro su Kiss of the Dragon. Ambientato principalmente a Hong Kong, il film si colloca nel solco dei classici tornei di arti marziali del cinema anni ’80 e ’90, aggiornando però la formula con una protagonista femminile e un cast quasi interamente composto da donne combattenti. La pellicola è caratterizzata da uno stile visivo dinamico, un montaggio serrato e coreografie marziali spettacolari che pongono al centro la fisicità e la potenza delle sue interpreti. In particolare, si distingue la performance di Amy Johnston nel ruolo di Jane, una giovane americana coinvolta in un torneo clandestino di combattimenti all’ultimo sangue noto come il Kumite.

Il film è dunque, a tutti gli effetti, un omaggio ai grandi classici delle arti marziali come Bloodsport e Mortal Kombat, ma riletto in chiave contemporanea e femminile. Il regista imposta la narrazione su binari semplici ma efficaci: l’allenamento, l’ascesa della protagonista, il confronto con un sistema brutale e corrotto. A fare la differenza è però proprio la centralità delle donne in un genere solitamente dominato da eroi maschili. Lady Bloodfight sfrutta questo ribaltamento per offrire una riflessione sui temi del potere, del riscatto personale e della determinazione.

 

Il viaggio di Jane, da giovane disorientata a lottatrice consapevole, si carica così di un valore simbolico che va oltre il semplice intrattenimento. Tra scontri violenti, legami di sorellanza e vendette incrociate, il film mette in scena un microcosmo in cui la forza fisica è l’unica legge. Tuttavia, sotto la superficie del combattimento, emergono tematiche legate all’identità, alla resilienza e all’affermazione del sé. Nei prossimi paragrafi esploreremo in dettaglio il finale del film, soffermandoci sul significato della scelta narrativa conclusiva e su come essa chiuda coerentemente il percorso evolutivo della protagonista.

Amy Johnston e Muriel Hofmann in Lady Bloodfight
Amy Johnston e Muriel Hofmann in Lady Bloodfight

La trama di Lady Bloodfight 

Protagonista del film è Jane Jones, una giovane donna dal passato tormentato con un talento innato per il combattimento e un forte senso di giustizia. In viaggio per Hong Kong alla ricerca del padre scomparso, si ritrova coinvolta in un mondo oscuro e brutale: un torneo clandestino di arti marziali tutto al femminile noto come Kumite. Segreto e leggendario, il Kumite vede sfidarsi le più temibili lottatrici del mondo in combattimenti all’ultimo sangue, dove sono in palio gloria, rispetto e denaro. Le regole sono poche, la violenza è estrema, e solo le più forti sopravvivono. Per sopravvivere in questo contesto, Jane viene allenata da Shu, ex campionessa e maestra di arti marziali, che vede in lei un potenziale straordinario.

Ma dall’altra parte del ring c’è proprio la rivale di Shu, Wai, che allena una combattente altrettanto talentuosa e determinata, l’agguerrita Ling. Mentre il Kumite si avvicina tra combattimenti, rivalità e allenamenti estremi, Jane e Ling si trovano al centro di un conflitto più grande. Oscure trame legate alla criminalità organizzata e a un giro internazionale di scommesse illegali minacciano di travolgerle entrambe, e le due ragazze, destinate a scontrarsi, scopriranno di dover unire le forze per sopravvivere e cambiare le regole di un gioco mortale.

La spiegazione del finale del film

Nel finale di Lady Bloodfight, Jane si ritrova dunque nell’incontro decisivo del Kumite contro Ling, la campionessa imbattuta e allieva della sua ex-maestra Shu. Lo scontro è carico di tensione, non solo per la posta in gioco – la sopravvivenza e l’onore – ma anche per i legami personali e i conflitti irrisolti tra le due combattenti e le rispettive mentori. Il combattimento è intenso, coreografato con uno stile visivo che esalta la fisicità delle due protagoniste. Entrambe si spingono al limite, mostrando non solo abilità tecniche ma anche una profonda determinazione interiore. In un momento cruciale, Jane ha l’opportunità di uccidere Ling ma sceglie di risparmiarla, rompendo così il ciclo di violenza cieca su cui si fonda il torneo.

Amy Johnston in Lady Bloodfight
Amy Johnston in Lady Bloodfight

Questa scelta si rivela fondamentale. In un ambiente dominato dalla brutalità e dalla legge del più forte, Jane dimostra che la vera forza risiede nella compassione e nel controllo. Il gesto di pietà verso Ling rappresenta una presa di distanza dalla logica del Kumite, che trasforma le donne in macchine da guerra per il divertimento di un’élite corrotta. Jane, pur avendo vinto secondo le regole del torneo, ridefinisce il significato della vittoria stessa, opponendosi alla logica distruttiva del sistema. In questo senso, il finale assume una connotazione etica che eleva il film oltre il puro action.

Subito dopo la vittoria, il torneo viene interrotto e disgregato grazie anche all’intervento delle autorità, segno che l’equilibrio di potere sta cambiando. Jane riesce a liberarsi non solo fisicamente, ma anche simbolicamente: ha conquistato il rispetto delle altre combattenti, ha mantenuto la propria integrità e ha aperto una breccia in un mondo che sembrava impenetrabile. Il rapporto con Shu, inoltre, si conclude con una nota di riconciliazione: la maestra comprende il valore della scelta della sua allieva e la rispetta, pur rimanendo legata alla sua filosofia più dura.

Il finale di Lady Bloodfight chiude così un arco narrativo coerente con i temi del film: l’emancipazione femminile, il superamento dei limiti imposti dalla società e il rifiuto della violenza come unico linguaggio possibile. Jane emerge non solo come vincitrice del Kumite, ma anche come simbolo di una nuova via, in cui la forza è al servizio della dignità e non della distruzione. Per raggiungere questo status ha ovviamente dovuto attraversare prove durissime e grandi dolori, tra cui la scomparsa del padre, ma è riuscita a non farsi sottomettere da tutto ciò e anzi a reagire con il cuore alle leggi della violenza.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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