Norimberga, la vera storia dietro al film: “Questa storia non deve essere dimenticata”

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Norimberga, con Russell Crowe nei panni di Hermann Göring, riporta l’attenzione sul processo ai vertici nazisti iniziato nel 1945, ottant’anni fa. Il regista James Vanderbilt esplora un capitolo meno noto delle udienze, concentrandosi sul rapporto tra Göring e lo psichiatra dell’esercito statunitense Douglas M. Kelley, per interrogarsi sull’origine del fascismo e sulla natura del male.

I processi sono da sempre terreno fertile per il cinema: testimonianze rivelatrici, conflitti dialettici, verdetti morali. Tuttavia, il Processo di Norimberga fu diverso da qualsiasi altro: per la prima volta si tentò di rendere individui specifici responsabili di crimini di guerra. Nella Germania devastata del dopoguerra, gli Alleati – Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica – decisero di non giustiziare sommariamente i leader nazisti, ma di concedere loro un processo pubblico, pur sapendo che molti tedeschi lo avrebbero percepito come “giustizia dei vincitori”.

Questa storia aveva già ispirato film importanti, come Vincitori e vinti (1961) di Stanley Kramer, ma Vanderbilt ha voluto rileggerla da un’altra prospettiva. Il punto di svolta è stata la lettura del libro The Nazi and the Psychiatrist di Jack El-Hai, dedicato al rapporto fra Göring e Kelley.

Hermann Göring e Douglas M. Kelley

Göring, ex asso dell’aviazione nella Prima guerra mondiale e figura più potente del regime dopo Hitler, venne catturato nel maggio 1945 vicino a Salisburgo assieme alla sua famiglia e al suo seguito. La sua presenza impressionò subito i soldati americani, che parlavano con lui, gli chiedevano l’autografo, lo guardavano con curiosità quasi morbosa.

Trasferito nel campo di detenzione di Bad Mondorf, in Lussemburgo, Göring fu preso in carico dal dottor Kelley, incaricato di valutarne la sanità mentale. Lo psichiatra scoprì che Göring era dipendente dalla paracodeina e lo aiutò a disintossicarsi, stabilendo con lui un rapporto complesso: non amicizia, ma un legame di interesse reciproco. Kelley riconosceva nell’imputato alcune delle proprie caratteristiche—intelligenza, carisma, orgoglio, determinazione—anche se le finalità dell’uno e dell’altro erano opposte.

Kelley sperava di individuare una patologia comune tra i criminali nazisti; dopo lunghe analisi, concluse che non si trattava di follia, ma di opportunismo: uomini pronti a sfruttare la violenza e il potere quando se ne presenta l’occasione. Una constatazione inquietante proprio perché universale.

Il film mostra efficacemente l’interazione tra Rami Malek (Kelley) e Russell Crowe (Göring). Le loro conversazioni oscillano tra confessione e manipolazione, tra rispetto e sfida. Göring chiede perfino al medico di occuparsi della figlia nel caso in cui lui e la moglie fossero morti—una richiesta reale, che nel libro è riportata come una delle prove della fiducia che nutriva verso Kelley.

Norimberga – Rami Malek Credit- Alamy

La seconda parte del film si concentra sul processo. Crowe interpreta un Göring brillante e provocatorio, capace di mettere in difficoltà il procuratore americano Robert H. Jackson. Sarà l’avvocato britannico David Maxwell-Fyfe a incriminarlo più duramente, con documenti che dimostrano la sua responsabilità diretta nella persecuzione degli ebrei. Come nella realtà, vengono proiettati i filmati girati dagli Alleati nei campi di concentramento: immagini che segnarono una svolta emotiva e processuale, mostrando a tutti l’orrore effettivo della Shoah.

Condannato a morte, Göring riuscì a suicidarsi la notte prima dell’impiccagione ingerendo cianuro. Le circostanze restano controverse: un ex soldato americano confessò anni dopo di aver consegnato una fiala al gerarca, ma Göring lasciò una nota in cui sosteneva di aver sempre nascosto il veleno con sé.

Il film si chiude con le parole del giovane sergente Howard Triest, traduttore di Kelley, ebreo tedesco fuggito negli Stati Uniti: “Sai perché è successo qui? Perché la gente lo ha lasciato accadere.” Una riflessione che perseguitò Kelley per tutta la vita. Temendo il riaffiorare di tendenze fasciste negli Stati Uniti, osservava con sospetto i leader populisti. Nonostante i suoi studi e il libro 22 Cells in Nuremberg, Kelley non raggiunse il successo professionale sperato e, depresso e frustrato, nel 1958 si tolse la vita ingerendo cianuro, proprio come Göring.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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