Norimberga — diretto da James Vanderbilt e tratto dal libro The Nazi and the Psychiatrist dello psichiatra militare Douglas M. Kelley — racconta il processo ai vertici nazisti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel lungometraggio lo psichiatra Kelley (interpretato da Rami Malek) viene incaricato di valutare la sanità mentale di alcuni imputati, in particolare di Hermann Göring (interpretato da Russell Crowe), per verificare se fossero in grado di affrontare un regolare procedimento giudiziario. Ma cosa è vero e cosa no nel film di Vanderbilt? Ecco una breve analisi di punti di contatto e di divergenze tra film e storia vera.
Questo aspetto — la valutazione psichiatrica dei nazisti — corrisponde a un fatto reale: Kelley e altri psichiatri furono effettivamente chiamati a esaminare alcuni prigionieri per accertare la loro idoneità al processo.
Anche il contesto generale — l’idea di un Tribunale internazionale convocato dalle potenze alleate per giudicare i responsabili del Terzo Reich — è rappresentato correttamente. Il procedimento reale iniziò il 20 novembre 1945, con a giudizio i principali gerarchi nazisti, accusati di crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e cospirazione. Tuttavia, numerose scelte narrative e semplificazioni del film introducono divergenze importanti rispetto alla storia documentata.
Le differenze principali: semplificazioni, licenze drammatiche e omissioni
La cattura di Göring – Nel film, la resa di Göring — con la sua famiglia, in auto, davanti a una base americana — viene rappresentata come parte dell’arco narrativo iniziale.
Nella realtà, invece, Göring fu arrestato il 6 maggio 1945 da un distaccamento della Settima Armata americana vicino a Radstadt, non dopo una resa pacifica con la famiglia. Venne poi scortato attraverso le linee tedesche verso il campo di prigionia noto come “Ascan”.
Errori nel protocollo e nelle qualifiche – Il film commette alcune inesattezze tecniche: per esempio, durante la lettura della sentenza un imputato, Wilhelm Keitel, viene chiamato “ammiraglio”, quando nella realtà la qualifica corretta è “feldmaresciallo”. In un’altra scena, il procuratore (o uno degli avvocati) dichiara che il palazzo di giustizia di Norimberga sia lo stesso in cui furono promulgate le “leggi di Norimberga” contro gli ebrei — un collegamento impreciso e fuorviante rispetto alla realtà storica.
Drammatizzazione del processo e del ruolo dello psichiatra – Il film enfatizza la dimensione psicologica, quasi come se il cuore del processo fosse il confronto mentale tra Kelley e Göring. In realtà, sebbene Kelley sia stato effettivamente incaricato di valutare la sanità mentale degli imputati, quella fu una fase preliminare: non rappresentava in alcun modo il nucleo del processo. Come documentato, il fulcro era l’enorme mole di prove — documenti, ordini, testimonianze, filmati dei campi di concentramento — che dimostravano la responsabilità collettiva e organizzata del regime nazista.
Il film, per esigenze narrative, pare semplificare certe complessità procedure e spostare l’attenzione su un conflitto psicologico-morale. Alcuni esperti citati in analisi contemporanee sottolineano che questo genere di scelta rischia di ridurre la complessità storica del procedimento.
Esiti finali e destino di Göring – Il film potrebbe dare l’impressione che l’esito del processo fosse condizionato dall’andamento delle sedute, dalla resa dei conti tra Kelley e Göring, quasi come un duello morale. Nella realtà, invece, il verdetto fu frutto di prove documentali pesantissime e di un lavoro di accusa condotto da avvocati e giudici delle potenze alleate. Il tribunale internazionale emesse la sentenza il 30 settembre – 1 ottobre 1946: 12 condanne a morte, vari ergastoli e pene detentive, alcune assoluzioni. Göring, condannato a morte, evitò l’impiccagione suicidandosi con una pillola di cianuro poche ore prima dell’esecuzione.
Riduzione della pluralità degli imputati e del contesto storico – Il film, concentrandosi su un arco narrativo ristretto (lo psichiatra / Göring / alcuni momenti chiave del processo), inevitabilmente omette o marginalizza la vastità del contesto: il fatto che furono giudicati in tutto 22 alti dirigenti nazisti, con accuse che andavano dalla guerra di aggressione, ai crimini contro la pace, ai crimini contro l’umanità. Viene così attenuato lo spettro di responsabilità collettiva, istituzionale e sistemica che storicamente caratterizzava il processo.
Norimberga offre un ritratto potente e suggestivo del processo, ma lo fa in forma romanzata, privilegiando conflitti morali e individuali, come da esigenze cinematografiche. Il vero Processo di Norimberga, invece, fu un’impresa collettiva senza precedenti: una risposta istituzionale, giuridica e storica al delirio criminale del nazismo.
