Saoirse Ronan: viaggio di un’anima dolce dall’Irlanda a Hollywood

Saoirse Ronan

In lingua celtica, Saoirse significa “libertà”, Ronan “unità”. Nel primo dopoguerra si verificò il più alto numero di sbarchi in America, con navi provenienti dall’Europa cariche di passeggeri in cerca di lavoro, ma soprattutto speranza. Una volta entrati nel golfo di Ellis Island, potevano scorgere in lontananza un simbolo imponente di grandezza e potere: la Statua della Libertà, icona di indipendenza e unione. Il destino a volte compie giri assurdi e ritorna sempre all’origine della vita; nel caso di Saoirse Ronan, 24 anni sciolti in un corpo dolce e un’anima raffinata, il destino ha voluto che nel momento della sua definitiva consacrazione dovesse interpretare un’immigrata irlandese che approda a New York. Ed è già una storia straordinaria da raccontare.

 

Si scrive Saoirse ma si pronuncia Seer-sha. Niente è come sembra, niente è noiosamente “normale” nel profilo di questa giovane attrice nata in America e cresciuta in Irlanda, nella cittadina di Carlow. Ad esempio, basta osservarla per capire quanto la sua bellezza non corrisponda ai canoni stabiliti dagli studios, né il suo modo di lavorare accenni a inseguire il frenetico ritmo hollywoodiano che spinge le piccole star a correre da un set all’altro. Saoirse è tanto ermetica quanto incisiva, una sognatrice che immagina mondi e li riversa nei personaggi che interpreta: “Sono figlia unica e amo scomparire nel mio universo – ha detto – Fin da bambina mettevo in scena spettacoli molto complessi con le mie bambole, e credo che già allora fosse chiaro cosa sarei diventata da grande”.

L’immagine appena descritta ci riporta al discorso sul destino, perché Joe Wright (acclamato regista inglese di Orgoglio e Pregiudizio e Anna Karenina) decide di aprire il suo secondo lungometraggio, Espiazione, con una carrellata che accompagna una fila di giocattoli in cima al teatro allestito da Briony, la protagonista del romanzo di Ian McEwan da cui è tratto. Briony è una ragazzina particolare con una fervida immaginazione che le suggerisce spesso un’errata interpretazione della realtà, ragion per cui l’esperienza del film (e dello spettatore con esso) viene totalmente falsata dalla visione che lei imprime. Come un metteur en scène che plasma l’opera a suo piacimento, il personaggio di Saoirse viene fuori dal mucchio, lo fa grazie a una tredicenne che recita con una maturità senza precedenti.

Non vogliamo soffermarci troppo sulle tappe che hanno segnato la crescita artistica della giovane irlandese di Carlow, lei che nel 2009 incontra Peter Jackson e il dramma di Amabili Resti, che nel 2011 ritrova Wright nel thriller ghiacciato Hanna (e quanto era ipnotizzante Saoirse nei panni della spietata killer?), o che nel 2013 ha perfino la chance di esordire in un blockbuster young adult (The Host, dai romanzi di Stephanie Meyer). È in questi ultimi tre anni che raggiunge le vette ambite soltanto dai più folli, ma anche dai più saggi, nonostante la tenera età. “Non penso di essere cresciuta in fretta. C’è un’enorme differenza tra l’essere troppo adulta per i tuoi anni e l’essere maturata a causa della vita esposta che hai al di fuori”.

Saoirse non è ciò che fa vedere. Ad esempio, sapevate che è ossessionata da un certo tipo di commedia che fa scintille al botteghino? “È rimasta delusa dal fatto che non cogliessi le sue citazioni de Le amiche della sposa” confessa John Crowley, che l’ha diretta in Brooklyn. Chissà se nel prossimo futuro ci saranno occasioni per mostrare al pubblico questa strana inclinazione, certo è che “la commedia è uno di quei generi che amo tantissimo e che al tempo stesso mi spaventa”. Anche se con uno spazio limitato, l’attrice ha superato brillantemente una prima incursione comica sul set di The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, quando, sporca di farina e pasta di zucchero, tentava i sentimenti del lobby boy Zero.

Siamo arrivati al 2015, che è un anno fondamentale per diverse ragioni: la performance in Brooklyn le fa guadagnare una nomination all’Oscar come Miglior Attrice Protagonista (mentre nel 2007 la ottenne come Non Protagonista in Espiazione) e il film la porta ovunque, dal Sundance Film Festival agli eventi prestigiosi di una stagione americana che spinge sotto i riflettori alcune personalità nuove dell’ambiente, come Brie Larson Alicia Vikander. Quel momento in cui cambia ogni cosa, difficile da spiegare ma impossibile da dimenticare: “Brooklyn è la mia vita in un romanzo, è come se fossi destinata a interpretare Eilis”. Il destino, ancora una volta. “Abbiamo bisogno di vedere più film dove c’è interazione fra donne, e questa deve diventare fonte di intrattenimento senza sfociare nella competizione o nella lotta di genere” spiega l’attrice, cavalcando l’onda di una consapevolezza femminile che oggi è una necessità, e non un capriccio. “È uno degli aspetti migliori di Brooklyn: le ragazze del convitto sono si infelici, ma in qualche modo condividono la stessa condizione e si aiutano a vicenda, stanno bene”.

Sembra scontato, eppure il modo in cui Saoirse Ronan ha approcciato il personaggio è assolutamente unico e speciale, complice il passato di immigrazione vissuto sulla propria pelle (e quella dei genitori) che l’avrà assistita nel lavoro di preparazione. “Mi relaziono a tutto, ogni singola parola della sceneggiatura, ogni aspetto del suo viaggio. Poi ho avuto l’opportunità di ascoltare i racconti dei miei genitori, e la loro opinione sul film valeva più delle altre. Ancora ricordo la reazione di mia madre dopo la proiezione al Sundance: piangeva, così sono corsa subito ad abbracciarla. Mi disse ‘Ce l’hai fatta, hai trasmesso esattamente la stessa emozione, la stessa paura’”.

C’è un’intera strada là fuori, per questa splendida e generosa ragazza, benedetta da una fortuna che spetta soltanto alle donne destinate a grandi imprese. “Come Eilis, negli ultimi anni ho imparato che le donne della mia vita sono sempre state lì per aiutarmi a diventare ciò che sono e sarò. La loro saggezza, fatta di piccole cose, è un dono prezioso e credo che tutto compia un percorso circolare, tutto si trasmette alla generazione che verrà dopo di te”.

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