Ieri sera, alla Sala Trevi “Alberto Sordi” di Roma, dopo le proiezioni dei film “Mio fratello è figlio unico” e “Riprendimi” da lei interpretati, l’attrice Alba Rohrwacher ha incontrato il pubblico in sala. L’incontro è stato condotto da Enrico Magrelli, Conservatore della Cineteca Nazionale, ed è stato seguito dalla proiezione del film “Il papà di Giovanna”.
Tra le attrici del nostro cinema, Alba Rohrwacher è sicuramente una
di quelle che ha già, nonostante la giovane età, una carriera
particolarmente ricca e interessante, in ragione dei ruoli da lei
interpretati in alcuni dei principali film italiani degli ultimi
anni.
La Rohrwacher ha recentemente “accompagnato” al festival di Berlino
il suo ultimo lavoro con Silvio Soldini “Cosa voglio di più” e ha
terminato la lavorazione de “La solitudine dei numeri primi” di
Saverio Costanzo.
Proprio sul suo lavoro con i registi si è concentrato gran parte
dell’incontro. Raccontando del nuovo film di Soldini, la Rohrwacher
ha detto che il suo personaggio è particolarmente diverso da lei
dal punto di vista psicologico ed è diverso anche dai personaggi da
lei interpretati in altri film. Questo –dice l’attrice- le ha
permesso di sperimentare, di mettersi in discussione. Del resto, ha
affermato, “gli attori dipendono da uno sguardo esterno”, quello
del regista, che offre all’attore la possibilità di mutare. Lo
stesso fatto che Soldini le avesse detto “Proviamo, sperimentiamo”,
era un modo per mettersi in discussione e sperimentare insieme al
regista/sguardo esterno.
Il film racconta una passione clandestina tra Anna, segretaria in
un ufficio assicurazioni, e Domenico, titolare di una ditta di
catering in una livida Milano periferica. “Ero la persona più
lontana da questa donna”, afferma la Rohrwacher, che ha ricordato
le stesse parole di Soldini a proposito del ruolo, quando le disse,
con una metafora: “Non so se è un vestito adatto a te,
sperimentiamo.” L’attrice ha commentato che questo provare e
sperimentare era –tanto per lei quanto per Soldini- un’assunzione
di responsabilità, che si accompagna al coraggio di tentare
qualcosa di diverso rispetto ad altri ruoli da lei interpretati,
diversi, certo, ma con analogie sostanziali tra loro. A questo
proposito, quando Magrelli le ha chiesto cosa pensasse
dell’interpretare personaggi simili e dell’essere imprigionati come
attori in un unico genere di ruoli, la Rohrwacher ha risposto che,
semplicemente, “un attore si annoierebbe”, poiché essi sentono la
necessità di mettersi in gioco, e di indagare qualcosa di
nuovo.
Questo mettersi in gioco inizierebbe già al momento del provino. “È
un trovarsi e un capire. Odio invece gli incontri, arrivare e
parlare di sé: è come vendersi”, ha detto la giovane attrice,
dimostrando in tal modo una serietà professionale del tutto rara
nell’attuale mondo dello spettacolo, in cui vendersi è l’unico
imperativo e criterio di sopravvivenza. La Rohrwacher ha poi speso
splendide parole sul suo lavoro con Pupi Avati per il film “Il papà
di Giovanna”, che le ha portato il David di Donatello come miglior
attrice nel 2009. “Lavorare con Pupi è bellissimo per un attore: ti
fa lavorare sull’essenza, su ciò che hai di più profondo,
eliminando gli appigli finti della tecnica, sempre ‘a togliere’. Ti
senti guidato, quasi, preso per mano.” Di Silvio Orlando,
conosciuto sul set di “Caos calmo” di Antonello Grimaldi, e
intermediario per l’incontro con Pupi Avati, ha detto “Per me è il
più grande attore italiano”. Ha definito poi il lavoro con Luchetti
(per “Mio fratello è figlio unico”) come “splendida esperienza
collettiva” e ricordato il lavoro per il film “Riprendimi” di Anna
Negri, brillante mockumentary low-budget in bilico tra il dramma e
l’ironia, come una grande occasione di crescita umana e artistica:
“Era una sceneggiatura lunghissima e lo abbiamo girato in venti
giorni, un’esperienza da cui tutti siamo usciti più forti”. Non
solo i lungometraggi con autori importanti, però, impegnano la
Rorwacher. L’attrice continua infatti a dedicarsi ai corti, visti
invece da molti attori e registi solo come trampolino di lancio e
prove generali di futuri lungometraggi. “Se una storia è bella che
importa che sia corta?”, ha detto.
Sicuramente, il coraggio, il desiderio di mettersi alla prova e
sperimentare (rischiare, anche), tentando di uscire da ruoli
canonizzati, la volontà di non vendersi e di non fossilizzarsi nel
lungometraggio di autori affermati non sono comuni agli attori.
Lei, Alba Rohrwacher ha raccontato di tutto questo che per nostra
fortuna (o per fortuna del nostro cinema) le appartiene, con
delicatezza, autoironia, semplicità. Inconsuete, queste, in
un’attrice giovane con una carriera così recente e ricca al
contempo, che brilla, tra l’altro, per la varietà e l’intensità dei
ruoli cui imprime, tra le sfumature, un carattere di onestà. Non è
una cosa da poco. “Giusto, pertanto, renderle omaggio” ha detto
Magrelli all’inizio dell’incontro.