Alissa Jung: intervista alla regista esordiente di Paternal Leave

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In occasione dell’edizione 2025 di Open Roads, la rassegna di cinema italiano contemporaneo al Lincoln Center di New York, abbiamo avuto occasione di intervistare Alissa Jung, autrice del suo primo lungometraggio Paternal Leave (qui la nostra recensione) che vede protagonista il marito Luca Marinelli. Ecco quello che ci ha raccontato nella cornice newyorkese.

Nel suo film l’ambiente che circonda i personaggi riflette lo stato di stasi, soprattutto del protagonista Paolo, bloccato nel suo rapporto umano con la figlia e con le persone che lo circondano. Come ha lavorato per cercare di rendere l’ambientazione come metafora della condizione interiore del protagonista?

 

Quando ho iniziato a pensare a questo film sapevo che sarebbe stato difficile, perché al centro della vicenda ci sono soltanto due persone che non si conoscono, che possiedono conflitti interiori, quindi come raccontare il loro mondo interiore era il grosso quesito del film. Per coincidenza un autunno mi sono trovata a Marina Romea, dove poi abbiamo girato, e ho visto questo luogo dove tutto era praticamente chiuso, dove le dune nascondono la vista del mare, ho visto proprio il personaggio di Paolo. Scrivere il film con questo posto in mente mi ha aiutato, mi sono resa conto che cercavo qualcosa del genere, un ambiente dove la natura è quasi desolata. La pineta invece porta un po’ di calma, un po’ di sole, mentre il paese è quasi un luogo post-apocalittico, non c ‘è nessuno, e mi ha ispirato il la figura di Edoardo che poverino vive lì d’inverno e non sa che fare con la sua vita.

Paolo e Leo posseggono un’energia quasi antitetica: il padre come detto è bloccato, la figlia invece ha bisogno di esprimere la sua frustrazione, la rabbia. Come avete concertato con Juli e Luca il lavoro sul linguaggio del corpo dei personaggi?

Ho faticato un po’ perché essendo una ragazza di 15 non era facile di avere Juli molto in anticipo per fare delle prove.  Alla fine siamo riusciti ad essere insieme un mese prima delle riprese, ci siamo visti ogni giorno anche se solo per poche ore, abbiamo esplorato con Luca e Juli soprattutto il linguaggio di corpo, la rabbia che tutti e due hanno. Sono due persone a loro modo testarde, qualcosa in comune su quale uno poteva poi giocare. Poi abbiamo lavorato sulle similarità nei movimenti, sul modo di camminare. All’inizio ho chiesto a Luca di copiare Juli perché non volevo mettere pressione su di lei, ma mentre poi durante le prove ci siamo resi conto che era bravissima e quindi abbiamo giocato con il corpo. Molte scene le abbiamo girate sottraendo alcune battute, perché bastavano il loro corpo o il loro sguardo a far capire cosa stavano vivendo.

Paternal Leave è un film che sviluppa il tempo necessario per far parlare anche silenzi e atmosfere. Può raccontare il processo di montaggio del film?

Anche questo è stato un processo molto delicato, come già nella scrittura mi ero resa conto che ogni tanto non funzionava una scena, dovevo cambiare qualcosa, una parola veniva detta prima e cambiava tutto il senso. Anche col montaggio se ero uno sguardo era un po’ più lungo, poi tutta la scelta diventava. Volevo mostrare solo quello che era necessario, nulla di pif, con montatore ci siamo resi conto che certe frate potevamo anche non inserirle e  la scena  funzionava anche meglio. A me personalmente piace quando una frase face qualcosa ma il corpo racconta proprio il contrario, perché così è la vita.

PAT_MainStill_KEY © 2024 Match Factory Productions GmbH, Wildside srl (2)

C’è stata una scena particolarmente complessa da girare a livello emotivo?

Sicuramente all ‘inizio abbiamo tutto avuto un rispetto della scena finale, del confronto tra i due, anche se poi girarla è stato bellissimo, ognuno di noi aveva messo tanta attenzione. A livello emotivo sono state tutte difficili, sicuramente quella del primo incontro era una scena così delicata, tutti e due sono così bloccati, c ‘è poco movimento, sono paralizzati tutti e due. Non è stato facile per gli attori recitare quasi paralizzati, non è naturale.

Dopo il pubblico del Festival di Berlino e quello italiano dell’uscita in sala, adesso Paternal Leave viene presentato  quello americano. Quali sono i discorsi universali di Paterna Leave che secondo lei, possono arrivare a qualsiasi tipo di pubblico?

Io sono molto felice perché il pubblico che ha visto il film l’ha amato senza differenza tra generazioni. Paternal Leave in qualche maniera parla a tanti: anche se la maggior parte di noi non ha vissuto una storia così estrema, però ci sono momenti in cui ci riconosciamo, magari un dolore che un genitore ci ha creato, il non essere presente. Un ‘emozione è arrivata agli spettatori: ognuno si è preso qualcosa, per me è bellissimo perché il mio obiettivo più grande era di rappresentare un ‘emozione e non fare un esercizio su uno stile cinematografico.

C’è stato qualche film o qualche regista che l’ha ispirata quando ha iniziato a pensare come organizzare il film a livello estetico?

I film di Andrea Arnold mi piacciono molto. Ultimamente anche Joachim Trier con “The Worst Person in the World”, mi piace quando racconti le emozioni attraverso qualcosa di onesto e obiettivo.  Amo anche il cinema di Alice Rohrwacher, anche se fa un tipo di film molto personali.  Però sicuramente Fish Tank è qualcosa che mi ha ispirato.

Adriano Ercolani
Adriano Ercolani
Nasce a Roma nel 1973. Laureato in Storia e Critica del Cinema alla "Sapienza", inizia a muovere i primi passi a livello professionale a ventidue anni, lavorando al tempo stesso anche nel settore della produzione audiovisiva. Approda a Coming Soon Television nel 2006, esperienza lavorativa che gli permette di sviluppare molteplici competenze anche nell'ambito del giornalismo televisivo. Nel 2011 si trasferisce a New York, iniziando la sua carriera di corrispondente di cinema dagli Stati Uniti per Comingsoon.it e Cinefilos.it - È membro dei Critics Choice Awards.
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