
Se le luci del
Berlinale Palast sono ormai spente, poiché sono
stati annunciati tutti i vincitori del Festival di Berlino 2016,
sono ancora in funzione e incandescenti i fari della sala
conferenze, dove stanno per sfilare tutti i protagonisti della
cerimonia con i loro Orsi d’Argento e d’Oro. Fra loro la miglior
regista della competizione, Mia Hanses-Løve,
trionfante grazie a L’Avenir. Emozionata e un po’
spaesata, la giovane artista ha raccontato di non aver mai vissuto
un’esperienza simile: “È la prima volta che vinco un premio
così ambizioso, è una sensazione diversa, nuova, molto
intensa.” Il suo film, estremamente maturo per i temi che
tratta, funziona non solo per la regia bilanciata all’estremo,
anche per i suoi protagonisti, Isabelle Huppert
fra tutti: “Avere confidenza con i miei attori è
fondamentale” ha continuato la Hansen-Løve, “ma non basta,
ho bisogno di trovare nella scrittura una forma di verità, di
musica, nelle parole che scrivo. Vado avanti nel lavoro finché non
sento questa musicalità interiore. Come sarà il futuro del cinema
francese? Non saprei, io penso al mio futuro, di certo ad oggi è
uno dei mercati più vivi e dinamici.”
Felice, con il suo Leone d’Argento Gran Premio della Giuria, un elegante Danis Tanovic, che finalmente grazie a una produzione francese è tornato a girare a Sarajevo: “È stata una grande occasione per me, sono ottimista per la mia terra, anche se è difficile realizzare film laggiù. È importante fare film in Bosnia-Erzegovina oggigiorno, così come sono fondamentali premi come questo, che possono aiutare la distribuzione. Sono orgoglioso.” L’unico Orso d’Oro è però fra le mani di Gianfranco Rosi, che ha dedicato il premio ai Lampedusani: “Mi sono innamorato di Lampedusa, ho una casa in affitto da un anno e mezzo e non riesco a staccarmene. Probabilmente porterò questo Orso fra la gente, con l’arrivo del bel tempo organizzeremo anche una proiezione, nonostante le difficoltà del caso.”
Fuocoammare è un film difficile,
che affronta tematiche molto delicate come gli sbarchi degli immigrati che sognano
l’Europa, ma non solo; al suo interno, oltre al materiale
documentario, tanta finzione confezionata ad arte: “È la mia
vocazione, cercare la verità fra il documentario e la finzione, non
sono il solo in Italia a fare questo, anzi con molta umiltà dico
che siamo in tanti, siamo un Paese all’avanguardia nel rompere il
limite fra realtà e linguaggio cinematografico. Io amo farlo, l’ho
fatto con Sacro G.R.A. vincendo Venezia e l’ho
rifatto adesso, vincendo Berlino. Significa che il percorso che ho
iniziato funziona. In questo caso particolare avevo anche il dovere
di raccontare la mia verità, la verità di un luogo in cui si
fronteggia la morte ogni giorno. Non possiamo girarci
dall’altra parte di fronte ad un problema di tale gravità, anzi
spero che questo film possa risvegliare le coscienze che dormono,
che sono in letargo. Dobbiamo costruire un ponte umanitario per
combattere queste mattanze.”