Ferine: intervista al regista Andrea Corsini – #NoirFest2025

Abbiamo incontrato il regista Andrea Corsini, in concorso al Noir in Festival con Ferine, che ci ha raccontato le origini e le evoluzioni di questa sua opera prima.

-

Presentato in concorso come unico titolo italiano al Noir in Festival 2025, Ferine (qui la nostra recensione) segna il ritorno di Andrea Corsini a un cinema perturbante, capace di spingere lo spettatore ai margini più feroci dell’animo umano. Tra atmosfere tese, identità frantumate e un uso del genere come lente d’ingrandimento sulle derive contemporanee, il film si è imposto come una delle sorprese più discusse della manifestazione. In questa intervista, Corsini ci guida dentro il cuore pulsante di Ferine: dalle ispirazioni che ne hanno modellato il tono alle scelte formali che definiscono il suo universo narrativo.

La trama di Ferine

Irene (Carolyn Bracken), ricca e raffinata collezionista d’arte, vede la sua vita sconvolta da un tragico evento che risveglia in lei un istinto primordiale e incontrollabile. Una nuova natura prende il sopravvento distruggendo la sua esistenza privilegiata. Dama (Caroline Goodall), misteriosa trafficante di predatori esotici, è sulle tracce di un suo esemplare fuggito dalla cattività, quando scopre qualcosa di inatteso: Irene. In lei riconosce un predatore nuovo, irresistibilmente pericoloso. Un destino oscuro unisce le due donne, trascinandole verso uno scontro inevitabile.

Hai scritto prima il lungometraggio, Ferine. Prima di realizzarlo ne hai tratto un cortometraggio omonimo, per poi concretizzare il film. Raccontaci come si è svolto questo processo.

Io avevo questo primo progetto di film tantissimi anni fa, tipo nel 2017. Era molto embrionale. quindi non c’era una sceneggiatura definita. Ho avuto i primi contatti con alcuni produttori, che però non sono andati in porto e quindi il film era sostanzialmente fermo. Allora ho avuto l’idea di ripresentarmi all’industria con un corto, che potesse dare anche una spinta al film. Quindi il corto Ferine in realtà nasce sia per essere un’opera a sé stante ma che in qualche modo potesse un pochino sintetizzare e incorporare le tematiche del film. Il cortometraggio poi è andato molto bene, è stato alla SIC, è entrato in 50 festival in giro per il mondo, mi ha aiutato tanto. A quel punto ho rincontrato EDI – Effetti Digitali Italiani, che in realtà erano dentro come coproduttori nel cortometraggio e nel 2020 abbiamo iniziato il vero e proprio sviluppo del film.

Ferine recensione film

Parlando proprio del rapporto con EDI – Effetti Digitali Italiani per questo progetto, come si è svolta la collaborazione?

Da una parte EDI ha svolto il lavoro classico del produttore, sviluppare il progetto insieme all’autore dal punto di vista artistico e poi mettere insieme il budget per realizzarlo. Abbiamo avuto accesso a diversi contributi pubblici dal Ministero, la Regione Lombardia, la Regione Piemonte. Poi abbiamo coinvolto Adler Entertainment come distributore del film e Piper Film che si occupa invece delle vendite estere. Entrambi hanno anche investito nella realizzazione del film. Da un punto di vista artistico, invece, EDI ha realizzato tutti gli effetti visivi del film, dal giaguaro fino agli sky replacement e tante altre cose invisibili che ci sono nel film. In generale, abbiamo sempre stimolato Andrea a sfidarci con delle inquadrature difficili.

I luoghi e gli ambienti del film hanno una loro rigidità che contrasta molto con la natura “selvaggia” dei protagonisti. Sembrano quasi delle gabbie all’interno delle quali si muovono. Come hai lavorato in tal senso?

Sì, gli ambienti del film sono tutte gabbie in un certo senso. La gabbia della vita normale di Irene e la gabbia dove la nuova Irene si trova costretta. Ci sono dei codici estetici che hanno a che fare con l’architettura e quindi per me trovare questo tipo di stile, quello brutalista, quello del cemento, era un buon modo per rappresentare la parte razionale, la parte più civilizzata e brutta, dalla quale lei poi si affrancherà. È un film che ragiona tanto in comunicazione con gli ambienti, c’è questa macro ambientazione della provincia, ci sono questi luoghi isolati, dove la villa di Irene, come abbiamo detto, rappresenta una sua prima gabbia, rappresenta anche un po’ una sorta di passato inespresso. Essendo un film che parla anche di una migrazione, oltre che di una trasformazione, gli elementi della natura, quelli selvaggi, quelli del bosco, vanno un po’ a mescolarsi in questa bulimia architettonica che esiste nella provincia.

Caroline Goodall e Elisabetta Caccamo in Ferine
Caroline Goodall e Elisabetta Caccamo in Ferine

Come hai lavorato con le attrici protagoniste?

Quando ho scelto di girare il film in inglese, mi si sono aperte molte porte in più. Abbiamo così avuto l’occasione, io e il casting director, di valutare attrici di provenienza internazionale. Quando poi è arrivata la proposta di Caroline sapevamo di aver trovato la nostra Irene. Carolyn Bracken è una persona estremamente analitica, mi ha richiesto una settimana di lavoro uno a uno sullo script, per parlare del suo personaggio. È un ‘attrice che ha un metodo di lavoro con cui io non avevo mai avuto modo di interagire perché ti obbliga a metterti in discussione, perché se ci sono delle risposte che tu non avevi lei le ha trovate e ha già costruito dentro di sé un personaggio.

Con Carolyn Goodall, invece, è stato essenzialmente l’opposto. Parlavamo tantissimo, mi chiamava e mi chiedeva delucidazioni su alcuni aspetti del suo personaggio. Lei aveva bisogno di essere guidata, ma una volta sul set capivi perché è l’attrice straordinaria che è. Possiede un’energia unica. Poi c’è Paola Lavini, che è invece il metodo italiano. Lei ha studiato approfonditamente la sceneggiatura e voleva seguirla alla lettera. Lei aveva già lavorato in grandi produzioni, per cui sapeva come relazionarsi con quei livelli. E poi c’è la bambina, Elisabetta Caccamo. Per il suo ruolo cercavamo un’attrice che non fosse eccessivamente educata ma che sapesse come stare davanti la macchina da presa. Prima di questo film lei non aveva mai partecipato ad un film, mi ha colpito quando durante i meeting online se ne stava per conto suo ma poi aveva sempre la reazione giusta ai miei input.

Qual è il tuo rapporto con l’horror? Cosa pensi che il cinema di genere dovrebbe raccontare oggi?

Il genere continua ad essere un modo per raccontare al meglio il presente. Oggi secondo me, e per oggi intendo gli ultimi dieci anni, c’è una nuova ondata di nuovi autori molto bravi che stanno cercando di raccontare molto di più i drammi e le nevrosi dell’essere umano e dell’individuo nella società. Nel mio per esempio c’è questo scarto di trasformazione, di ricontatto con la natura umana che poi si esprime nel genere. Parlo del fatto che abbiamo perso il contatto con la nostra parte “animale”, che viviamo in una società che ci ha allontanato da alcuni codici ed è sicuramente una contraddizione presente oggi il fatto che viviamo in un mondo in cui quasi non riusciamo più a vedere il cielo. Ecco, con il genere volevo raccontare questi aspetti molto umani.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
- Pubblicità -

ALTRE STORIE

- Pubblicità -