L’ Auditorium Parco della Musica si è riempito per la prima grande star di questa edizione della Festa del Cinema di Roma: Jude Law! L’attore si è raccontato partendo da scene chiave dei suoi film di maggior successo ma ha anche parlato della sua esperienza con il nostro regista da Oscar, Paolo Sorrentino.
Jude Law si trova infatti da più di due mesi a Roma per lavorare all’ultimo progetto di Sorrentino, The Young Pope, dove interpreta il giovane papa del titolo e si è dimostrato molto entusiasta del progetto, “Come tanti altri miei colleghi amavo il lavoro di Paolo Sorrentino e dopo La Grande Bellezza sognavo di poter lavorare con lui e lo dicevo a tutti. Nemmeno un mese dopo mi è arrivato questa sceneggiatura e mi è stato detto che sarebbe stato il suo prossimo progetto e mi è sembrata un occasione straordinaria. Ora sono qui da Agosto e giriamo principalmente dentro e nei dintorni di Roma. Sarà un film di 8 ore per la HBO e io interpreto questo papa americano inventato ambientato ai giorni nostri e per ora sta andando molto bene” ha raccontato Jude Law al pubblico. La sfida più difficile per un attore nell’interpretare un papa? “Bè al momento posso solo sedermi su una specie di sgabello scomodo perché se no rovino il costume di scena. Quindi una volta che sono vestito magari passo anche 14 ore in piedi! L’aspetto è meraviglioso ma è parecchio faticoso.”

 

La novità di quest’anno negli Incontri con il pubblico è che vengono proiettate scene tratte da film a cui l’ospite ha partecipato, che poi commenterà aiutato da domande del Direttore Artistico della Festa, Antonio Monda. Dalla filmografia di Jude Law sono state tratte scene chiave da A.I. Intelligenza Artificiale, Il Talento di Mr Ripley, Ritorno a Cold Mountain, Sherlock Holmes, Wilde, Sleuth, Era mio padre, Gattaca, Anna Karenina, Closer e Grand Budapest Hotel.

Partendo da A.I. è stata scontata una domanda su il suo rapporto con Steven Spielberg e Jude Law ha ammesso che il suo film preferito del regista è Incontri ravvicinati del terzo tipo, “Quel film da piccolo mi ha molto colpito, ricordo che lo vidi e ne rimasi terrorizzato. Eppure già all’epoca mi intrigava queste qualità per il quale è poi diventato famoso. L’ho rivisto diverse volte da giovane, da padre e da attore con 20 anni di carriera alle spalle e ogni volta è stata un esperienza straordinaria perché è un film che cresce ogni volta che lo vedi ed è un modo molto interessante per notare l’equilibrio tra la normalità, la vita familiare e questo mondo della fantasia e della magia che ti permette anche di evadere”

Jude Law, look minimal con giacca di pelle nera, si è regalato al pubblico con risposte belle lunghe e qualche confessione! C’è qualche film che rivedendolo gli fa pensare di aver voluto rifare la scena in modo diverso? “In realtà questa è una situazione molto curiosa, perché una volta finiti i film non li rivedo mai e queste scene le sto riguardando per la prima volta dopo tantissimi anni ed è strano rivedermi! Sicuramente farei alcune cose diversamente…ma ero giovane, sono passati 10-15 anni dall’uscita di questi film e ricordo vagamente quello che cercavo di fare come attore a quei tempi”.

Qual’è il tuo approccio al personaggio? Come lo studi? “È un viaggio interessante perché ripensando a come ho iniziato da adolescente lavoravo molto d’istinto: usavo le sensazioni piuttosto che seguire attentamente le istruzioni del regista. Mentre invece sono arrivato a comprendere che una delle cose più belle di questo mestiere è che ti da l’opportunità di imparare di qualcosa di un mondo sconosciuto o scoprire di un preciso momento della storia o insegnarti cose che non sapevi: un vero e proprio strumento di apprendimento. Quindi come attore questo mi permette di costruire il mio personaggio su delle basi ma a volte si esagera. Per concludere possono valere entrambe le impostazioni, dipende da quello che uno trova più idoneo per arrivare ad una preparazione solida del proprio personaggio e anche da quello che il regista chiede dalla tua performance”.

Ma per quanto riguardo il suo Karenin in Anna Karenina, l’attore è partito dalla sceneggiatura e non dal grande classico di Tolstoj, “Non avevo letto il libro ma conoscevo ovviamente la storia grazie ad altre trasposizioni cinematografiche. La cosa che mi ha affascinato di più della sceneggiatura è stato come Tom Stoppard abbia puntato ad un’aspetto più intimistico di questo lavoro, non polarizzando i personaggi e senza trasformare il mio nel cattivo senza riscatto. Era più concentrato sul potere che ha l’amore e il processo di esso. Dopo ho letto il libro e mi sono trovato subito allineato con l’impostazione che aveva dato Tom alla sceneggiatura e dopo l’uscita del film molti mi hanno anche detto che finalmente avevano visto un Karenin riscattato, visto per quello che era e non come la causa principale della fine del rapporto”.

“Mi sento molto fortunato perché alla fine mi sono divertito in tutti i miei lavori e ruoli e penso che sia anche merito della gente con cui ho lavorato e in parte perché mi ritengo davvero fortunatissimo di fare questo mestiere e voglio sfruttare ogni opportunità al massimo. Francamente se uno non si divertisse in situazioni del genere dovrebbe farsi delle domande. È un mestiere straordinario che ad esempio mi porta per lunghi periodi, come nel caso di The Young Pope, a trascorrere tanto tempo in un’altra città. Quale altro lavoro ti permette una cosa del genere? Sono privilegiato!”, tra sorrisi e battute, Law è stato molto apprezzato dal pubblico ma non molto disponibile con foto e autografi, saltando il red carpet e uscendo velocemente a fine incontro.

Per finire gli è stato chiesto di scegliere un film importante per lui e sorprendendo tutti è stata proiettata una scena da La morte corre sul fiume, opera del 1955 di Charles Laughton: “Questo è un film che mia mamma mi fece vedere quando avevo circa 16-17 anni e stava iniziando il mio amore assoluto nei confronti del cinema e questo film mi ha fatto vedere cosa era possibile raggiungere. Io sono molto legato al teatro e alla magia che si crea tra il cast, attori e regista e la nostra fantasia, con cui possiamo arrivare in qualunque luogo rimanendo dentro un teatro. Mentre trovo che non venga utilizzato abbastanza nel cinema questo elemento di teatralità: siamo troppo ossessionati nel far apparire tutto vero, che suoni vero, che sembri vero, che lo sia. Va benissimo e sono un sostenitore di tutto ciò ma non bisogna sottovalutare l’importanza della teatralità. E questo film dà un quadro straordinario di come si possa raggiungere un equilibrio tra una storia vera un po’ cupa all’interno di un involucro quasi fiabesco. È triste pensare quello che poi è successo a Charles Laughton e questo fa pensare molto al destino del cinema poiché gli studios non avevano affatto compreso il suo lavoro e hanno deciso che non avrebbe più lavorato.”

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