A Venezia Kaouther Ben Hania è tornata a misurarsi con il confine fragile e incandescente tra documentario e finzione, presentando The Voice of Hind Rajab, uno dei titoli più discussi di questa edizione. Il film nasce da una vicenda che ha scosso la coscienza pubblica: il 29 gennaio 2024 la Mezzaluna Rossa riceve la chiamata di Hind, una bambina di sei anni rimasta intrappolata in un’auto sotto il fuoco a Gaza. Per settanta interminabili minuti la sua voce ha attraversato il filo telefonico, chiedendo di non essere lasciata sola, mentre i volontari tentavano invano di raggiungerla con un’ambulanza. Hind è morta quel giorno, insieme ai soccorritori partiti per salvarla. La sua ultima telefonata è diventata il simbolo di un’intera popolazione ridotta al silenzio.
Ben Hania ha raccontato come quel frammento audio sia stato la scintilla del film: «Sono stata sopraffatta da una storia, da un’immagine, da una voce. Quando ho ascoltato la voce di Hind, ho sentito che stava parlando a me, come se mi chiedesse cosa potevo fare. Da subito ho capito che nessuna attrice avrebbe potuto riprodurre quella voce. Sarebbe stato un tradimento, un gesto di cattivo gusto. Per me era fondamentale conservarla, onorarla, perché Gaza è senza voce, e questo silenzio imposto fa parte della violenza».
La regista tunisina, già candidata all’Oscar con Four Daughters, ha spiegato che il film si colloca nella linea che attraversa tutta la sua filmografia: «Non mi sento mai a mio agio con divisioni nette tra documentario e finzione. Amo la frontiera tra i generi, trovo che sia lo spazio più fertile per raccontare le storie che mi interessano. In The Voice of Hind Rajab la finzione si muove progressivamente verso il documentario, perché al centro c’è una testimonianza vera, un documento. La registrazione della telefonata era per me un punto di partenza: ho cercato il modo cinematografico migliore per tradurre non solo ciò che ho ascoltato, ma soprattutto i sentimenti di impotenza provati dagli operatori della Mezzaluna Rossa, e in generale dall’umanità di fronte a una bambina che chiede aiuto e che nessuno riesce a salvare».
Il lavoro è stato reso possibile da una fiducia speciale. La regista ha ricordato l’importanza dell’incontro con la madre di Hind e con i volontari che quel giorno erano dall’altra parte della linea: «Ho parlato a lungo con loro. Non sono un’investigatrice né una giudice: il mio lavoro non è cercare colpevoli ma costruire uno strumento di empatia. La madre di Hind è una donna straordinaria, intelligente e piena di dignità. Mi ha raccontato sua figlia nei dettagli, dai sogni al modo di ridere. Da subito le ho detto che il film sarebbe stato possibile solo con il suo consenso. Non era una formalità: era la base su cui poggiava tutto. Senza il suo sì, avrei abbandonato il progetto».
Anche per questo, il film è stato sviluppato con urgenza. «Di solito servono anni per scrivere, finanziare e girare un film. In questo caso ho messo in pausa un altro progetto e ho iniziato subito a lavorare. Ho ricevuto la registrazione a luglio, ad agosto avevo già una sceneggiatura e a novembre eravamo sul set. L’intero processo è stato attraversato da una rabbia condivisa, dalla sensazione che non potevamo rimanere in silenzio. Perché il silenzio è una forma di complicità», ha detto la regista.
Un aspetto sorprendente è stato il coinvolgimento di Hollywood, in particolare della compagnia Plan B di Brad Pitt: «Durante il tour per la campagna Oscar di Four Daughters sono stata contattata da Didi Gardner, che aveva amato il film e voleva sapere quale sarebbe stato il progetto successivo. Quando ha visto il materiale su Hind Rajab, lo ha mostrato a Brad Pitt e hanno deciso di esserci. È stato lo stesso con altri nomi importanti: sì, sono rimasta sorpresa da questo sostegno così ampio».
Il film si chiude con immagini che hanno commosso la sala veneziana: «Alla fine mostriamo le riprese dell’ambulanza e dell’auto, già viste online. Ma raccontando tutta la storia prima di quelle scene, il modo in cui le guardiamo cambia. Era importante arrivare al lato documentario, ma anche concludere con un’immagine diversa. Hind amava la spiaggia e aspettava la fine della guerra per tornarci. Sapere che su quella costa oggi si immagina di costruire resort rende ancora più doloroso e necessario concludere con il mare. Ho voluto restituire un’immagine di vita, di gioia, non solo di morte».
The Voice of Hind Rajab arriverà in Italia con I Wonder Pictures.