Giovanni Troilo, regista di Vesuvio, racconta il suo documentario presentato al Noir in Festival

vesuvio

L’area che comprende il Vesuvio e i Campi Flegrei —il secondo super-vulcano che periodicamente ricorda agli abitanti delle zone di Agnano, Pozzuoli e Bagnoli della sua esistenza attraverso stormi sismici ricorrenti—, è la più densamente abitata d’Europa. In caso di eruzione i risultati sarebbero catastrofici.

 

Abbiamo incontrato Giovanni Troilo, regista del documentario Vesuvio, in occasione della presentazione del film al Noir in Festival. Documentarista di grande successo, noto principalmente per il suo lavoro con Sky Arte, che porta avanti da circa dieci anni (di recente abbiamo visto Frida Viva la Vida), Troilo si presenta al festival con un documentario insolito, dal grande fascino. Ma che ci fa un documentario sulla regione vulcanica del napoletano nella selezione di un festival dedicato al cinema di genere noir?

È un linguaggio al confine tra fiction e documentario, e devo dire che questa modalità di racconto a Napoli funziona particolarmente bene. La prima volta che ho pensato di fare questo film, immaginavo di realizzare un mockumentary su questo allarme eruzione, su una possibile messa in atto del piano di evacuazione. In realtà sin dai primi sopralluoghi è stato subito chiaro che la finzione da noi immaginata non sarebbe stata nemmeno vagamente simile alla messa in scena del reale che avremmo intercettato Nella maggior parte dei casi i protagonisti delle molte storie del film non li abbiamo cercati, ci siamo imbattuti in loro. I più importanti sono state delle vere e proprie epifanie, spesso giunte nel momento in cui, dopo una lunga giornata di esplorazione, eravamo ad un passo dal desistere.

Ad esempio durante le prime giornate di sopralluoghi, dopo una serie di insuccessi, eravamo diretti al cratere e su questa strada verso l’apocalisse, tra le ultimissime case che affollano il cono del Vesuvio, abbiamo scorto un’insegna: Paradise Tv! La prima epifania ci aveva portato ad una delle storie più importanti del film.

Come hai rintracciato i personaggi e le storie, e quanto tempo hai impiegato?

Abbiamo iniziato con l’idea di questo film nel 2018, ci è voluto tanto. È stato un paziente spendere del tempo per cercare di cogliere l’essenza del luogo. In questo senso è stato fondamentale avere un team che, innamoratosi del progetto, ha deciso di sposarlo in toto facendosi carico dei molti sacrifici. Oltre al produttore Davide Azzolini che ha deciso di imbarcarsi su questo progetto totalmente al buoi, sono molto grato al cameraman Valerio Coccoli, al fonico Renato Grieco e soprattutto ad Allegra Nelli che è stata fondamentale nella ricerca delle storie e nella relazione continua con questi personaggi.

L’idea di avere tanti protagonisti che potessero portare ad una percezione collettiva e condivisa di questo senso del pericolo e di come ci si può convivere, che investe tutti dalla nascita alla morte, era necessario. Con il tempo mi sono fatto l’idea che questo gigantesco apparato vulcanico somiglia molto a quelli che Timothy Morton definisce iperoggetti, ovvero degli oggetti così grandi e multidimensionali che risulta impossibile alla singola percezione umana leggerne l’interezza.

La soluzione che abbiamo tentato è stata quella di aggregare le singole percezioni in una sorta di rete sensoriale collettiva per provare a leggere meglio questo oggetto così complesso. Che continua a sfuggire soprattutto per la così grande differenza di  scala temporale  che c’è tra la vita di un apparato vulcanico e quella di un essere umano.

Il film è molto democratico nelle esistenze che racconta, dal Vescovo che presenzia il miracolo di San Gennaro al fabbricante di fuochi d’artificio, tutte le storie hanno la stessa importanza. Di alcune Giovanni Troilo è testimone, di altre è partecipe, con domande e interviste vere e proprie ai personaggi che di volta in volta incontra. In base a cosa hai scelto di intervenire o meno?

C’è una componente istintiva molto forte per progetti di questo tipo. Dipende molto dal tempo, ma anche dall’utilità che ci può essere nel chiedere qualcosa, quando la storia non passa chiaramente attraverso le immagini. Io credo fermamente che, anche di fronte alla forza delle parole, spesso un’immagine possa essere molto più permeante. Poi sicuramente c’è una questione di bilanciamento del racconto, infatti non è un caso che l’aspetto informativo sia delegato al personaggio del vulcanologo. Questo serve allo spettatore per orientarsi, ed è lo scheletro minimo per avere la possibilità di avere altri momenti lisergici. Il tentativo era quello di  far partire lo spettatore dalla terra ferma, e di traghettarlo pian piano al largo. Per ritrovarsi qualche minuto dopo un po’ disorientati, per scoprire che sotto i piedi la terra non è così fissa, ma trema, e trovarsi in un nuovo territorio con nuove regole fisiche, in cui non si può far altro che abbandonarsi e provare a immedesimarsi.

Nelle note di regia scrivi “A Napoli non si è vicini o dentro a un vulcano. Si è vulcano.” Come sei stato accolto?

Benissimo. Sono stato felicissimo di avere la possibilità di fare un progetto del genere a Napoli, dove avevo già fatto diversi lavori ma con un respiro minore. È una città che mi dà una carica energetica che mi dura per anni. Ero certo della risposta e le aspettative sono state più che confermate.

In che modo Vesuvio si inserisce nel tuo percorso artistico che di recente si era focalizzato prevalentemente sul documentario d’arte?

Ci sono dei progetti che abbracciano archi di tempo così differenti che necessariamente devono convivere sul piano temporale. L’ultimo lavoro di questo tipo che avevo fatto è stato Coeurope, un documentario molto affine nell’approccio a Vesuvio e la cui lavorazione ha richiesto moltissimo tempo. Sarebbe bellissimo fare solo questo, ma anche impensabile. E così ci sono questi documentari d’arte che amo moltissimo e che da quasi dieci anni realizzo per Sky Arte. Mi appassiona molto il fatto di poter sperimentare dei linguaggi e di poterli portare al cinema, è capitato di recente con Frida, con Monet e succederà di nuovo con un progetto su Borromini.

Presentato in anteprima al Noir in Festival a Milano, Vesuvio uscirà a marzo in day and date, al cinema che in streaming, sulla piattaforma IWonder di I Wonder Pictures, accompagnato anche da presentazioni con i protagonisti.

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