Un viaggio intenso e personale nei mesi che tra il 1981 e il 1982 portarono il Boss a comporre il suo disco più intimo, Nebraska. E’ questo il centro emotivo di Springsteen: Liberami dal Nulla, nuovo film di Scott Cooper che si avvale della performance di Jeremy Allen White e della benedizione di Bruce Springsteen in persona per portare sul grande schermo quel momento nella vita dell’icona del New Jersey in cui tutto sembrava cadere a pezzi e lui trovò nella tranquillità di Long Branch, luogo della sua infanzia, l’ispirazione per un disco che ha fatto storia, trai più importanti degli ultimi 50 anni.
Un disco che parla della solitudine e dello smarrimento del Boss, che per tutta la vita ha combattuto con lo spettro della depressione, tratto determinato e ereditato dalla famiglia e dal rapporto conflittuale con il padre. Un disco (e una condizione) che ancora oggi parla al presente:
“Il disco che Bruce ha scritto nel 1982 potrebbe averlo scritto oggi, parla di malessere, di una mancanza spirituale, di una ambiguità morale. Bruce Springsteen è politico ma non dal punto di vista partitico, da quello umano. Parla delle persone che vivono ai margini della società, di quelli che non hanno nulla, che vivono una vita di quieta disperazione. Persone che lottano per raggiungere il sogno americano, ma non ci riescono. E queste cose erano valide nel 1982, così come oggi. Credo che questo sia il motivo per cui l’album è così pertinente per il periodo che stiamo vivendo oggi in America.” Ha dichiarato il regista, alla presenza della stampa romana.
“Credo che questo disco sia il risultato dell’isolamento – aggiunge Jeremy Allen White – Ma quando lo ascolto mi sento capito, c’è molta empatia in questo disco. C’è molta rabbia e confusione, ma sento anche molta speranza.”
Springsteen: Liberami dal Nulla è un biopic insolitamente “autorizzato”. Mai prima di ora il Boss aveva dato il suo appoggio completo a un film che intendesse raccontare la sua vita o parte di essa. In merito a questo supporto, Cooper commenta: “È incredibilmente gratificante. Dal 1986 gli viene chiesto di farsi raccontare in un film, lui è molto geloso della sua storia, non la concede facilmente ad altri. Jon Landau (interpretato da Jeremy Strong) mi ha detto che questa è la prima volta in 50 anni che Bruce ha lasciato il comando a qualcun altro. Questo mi ha messo molta pressione, anche perché questo album, per me, ha un valore affettivo molto importante: mio padre, a cui è dedicato il film, mi ha fatto conoscere Springsteen proprio attraverso Nebraska e lo ascoltavo ogni volta che avevo bisogno di ispirazione. Poi incontrando di persona Jon e Bruce, ho scoperto che sono entrambi cinefili, Bruce guarda tantissimi film, Jon Landau è un ex critico cinematografico. Nel nostro primo incontro abbiamo parlato di film, di cinema e di vita, e solo dopo abbiamo messo sul tavolo il progetto di questo film, ed è stato un rapidissimo “sì”. Sono molto grato.”
Non solo Cooper ha avuto l’ok del Boss, ma anche Allen White è stato benedetto dal cantante, che ha accettato la proposta e ha chiesto espressamente all’attore di accettar ela parte. “È incredibile, all’inizio l’ho immaginato come un compito molto pesante. Io sono intervenuto nel progetto molto dopo, quando la storia e la sceneggiatura erano già stati concordati da Jon, Bruce e Scott. Credo che abbia molto senso che Bruce abbia scelto di raccontarsi in questo periodo della sua vita, perché era a un crocevia. Credo che le scelte che ha fatto in quel momento gli abbiano condizionato la vita. E poi il fatto che mi abbiano voluto, che lui e Scott siano venuti da me per coinvolgermi… mi sono sentito molto fortunato. Sono molto felice del suo supporto al film.”
Bruce Springsteen ha lavorato in solitudine per Nebraska, in condizioni insolite, decisamente contrarie alle regole discografiche del tempo. Sarebbe possibile, oggi?
Scott Cooper: “Il processo creativo all’epoca era diverso, bisognava andare in studio e li si componeva e si registrava. Lavorare da solo a casa è stato non convenzionale. Oggi le cose sono differenti. Non è raro trovare musicisti che registrano in autonomia i loro brani e poi in studio perfezionano e ripuliscono. Lui non voleva passare attraverso questo processo di rifinitura, aveva catturato dei suoi unici, particolari. Era ossessionato dalla ricerca di quel tipo di suoni che aveva creato nella sua camera da letto.”
“All’epoca, il comportamento di Bruce era radicale, pertanto il suono, l’intimità di questo disco è diventata unica – ha dichiarato Jeremy Allen White – Non so se oggi fare un disco così sia tanto radicale, ma questo è il disco più punk realizzato da Bruce, non in termini di suono, ma di spirito. E credo che questo distingua questo album da tutti gli altri suoi lavori.”
Oltre alla musica di Springsteen, il film si arricchisce di una colonna sonora originale molto particolare, realizzata inseguendo l’imperfezione, per così dire, grazie al lavoro di Jeremiah Fraites di The Lumineers, che ha lavorato con Cooper alla ricerca di un suono che potesse emulare la musica che accompagna Badlands, il film di Terrence Malick, film che ha ispirato direttamente la composizione di Nebraska. Come ha spiegato Cooper: “Essendo cresciuto in New Jersey, Jeremiah Fraites è fan di Springsteen sin da piccolo. Mentre scrivevo la sceneggiatura, nella narrazione sentivo che la musica doveva venire fuori da Badlands di Terrence Malick e sono stato fortunato perché Malick mi ha dato il permesso di usare alcune scene del suo film. E così io e Jeremiah abbiamo lavorato sulla base della colonna sonora di quel film, usando solo un pianoforte di legno scordato. Il suono che sentivo era imperfetto, molto simile alla ricerca di Bruce nel realizzare Nebraska. La colonna sonora del film è quindi stata molto scarna, e Bruce mi ha detto che anche se non c’è nessun piano nel suo disco, lui ascoltava il pianoforte che veniva dalla colonna sonora del film di Malick.”
Ma com’è stato diventare fisicamente e vocalmente il Boss? Jeremy Allen White racconta così il suo primo incontro con Bruce Springsteen: “Quando ho conosciuto Bruce, era già d’accordo con l’idea del film. Io l’ho incontrato nel suo elemento, mentre si esibiva davanti a 90mila persone e per me essere presente è stato un dono, ma mi ha anche intimidito perché sapevo che di lì a pochi mesi avrei dovuto catturare alcune delle cose che lui era in grado di trasmettere. Conoscerlo e parlargli mi ha dato la possibilità di vedere la sua performance sul palco, da vicino, e vedere tutta la passione e la violenza che mette nelle sue interpretazioni. Ma quando gli parli vedi che c’è anche tanta delicatezza nella sua presenza. Per me ha avuto molto coraggio a metterci alla guida del racconto della sua vita, permettendoci anche di parlare con persone a cui lui è stato molto vicino. Lo abbiamo scoperto come cantante e artista ma anche come persona.”
Ma come mai Bruce Springsteen che da quasi 40 anni rifiuta di farsi raccontare dal cinema di finzione ha detto sì al progetto di Scott Cooper? “Bruce non avrebbe mai accettato di raccontare un film che parlava di lui che compone Born in the USA o Born to Run – ha spiegato il regista – Nebraska è il suo lavoro più personale e lui lo considera il migliore. Per lui è il capitolo più doloroso della sua vita e il pubblico ha capito questo dolore di Bruce nel 1982, quando è uscito il disco. Per questo ha detto di sì a questo film con questo taglio.”