Presentato ieri alla Casa del Cinema,
Là-bas. Educazione criminale uscirà nelle sale il
prossimo 9 marzo. Alla conferenza stampa erano presenti il regista
Guido Lombardi, i produttori e parte del cast: Kader Alassane,
Esther Elisha e “Billi” Serigne Faye. È intervenuto anche Pape
Diaw, portavoce della comunità senegalese di Firenze.
GUIDO LOMBARDI
D: Il film parla in fondo di un bivio, che esiste per molte persone che vivono da quelle parti – la scelta tra l’essere sfruttati come schiavi o andare a ingrossare le fila della criminalità.
R: Sì, è la domanda principale del mio film: quanto è facile, quando le condizioni di vita sono così difficili, optare per una vita criminale. Volevo poi abbandonare il solito punto di vista buonista sugli africani, e raccontare questo problema. Speravo di riuscire a raccontare, con una storia molto specifica, una realtà universale – quella di chi, partendo con pochi soldi, vuole cambiare la propria vita.
D: Che ci potete dire riguardo i vostri personaggi? Come ha contribuito alla loro creazione il vostro personale vissuto?
ESTHER ELISHA
R: Per me è stato un lavoro che è partito dal linguaggio, dal dialetto. Come cittadina italiana, questo film è stato un viaggio perché ho scoperto realtà che non conoscevo: il problema dell’emarginazione e la realtà dei migranti, che è davvero un mondo dentro un mondo.
KADER ALASSANE
R: Io volevo che si mettesse in luce la questione degli africani che vengono in Italia, pensando di trovare una certa realtà, un Paese democratico dove la legge è uguale per tutti; e invece poi trova altro. Spero che questo film lo facciano vedere anche in Africa, forse serve più lì – per far vedere ai ragazzi come me la realtà cui vanno incontro.
“BILLI” SERIGNE FAYE
R: Io ho sempre pensato che i bravi dovessero essere premiati, e i cattivi puniti – neri o bianchi che siano, è uguale. Credo che dobbiamo venirci incontro: noi verso di voi, ma anche voi verso di noi. Non so come dobbiamo fare per togliere questo muro, faccio un appello perché questo accada.
LOMBARDI
D: Come ti sei documentato sulla realtà dei lavoratori neri per girare il film, che prende solo spunto dalla strage di Castel Volturno?
R: Ho cominciato a scrivere la storia prima della strage, già nel 2005-2006. Avevo conosciuto Kader sul set di un lungometraggio, l’idea di realizzarlo è venuta a me e Kder, e poi Moses ci ha aiutato. I racconti che mi hanno interessato di più sono stati quelli che riguardano la criminalità africana. Poi nel 2008 è successa la strage; c’erano già episodi di sangue nella sceneggiatura, ma mai mi sarei immaginato un evento simile. Un evento che ha un chiaro sfondo razzista, era un messaggio per la comunità africana: <<Ammazziamo un africano qualsiasi, loro capiranno…>>. Agli africani non viene di fatto riconosciuta alcuna individualità.
PAPE DIAW
D: Si parla di un Paese democratico, in cui però i diritti non sono uguali per tutti…
R: Sì, sul tema dei diritti siamo ancora molto indietro. C’è un clima di razzismo che la politica non vuole vedere: io credo che questo film serva per far capire che ciò che non vogliono vedere è qui, nelle loro case. Inoltre, sottolineo che la prima strage non è Castel Volturno, ma quella accaduta nell’87, è da lì che è partito il nostro movimento.
D: Il linguaggio in questo film è una delle cose più importanti. Avete fatto anche una riflessione su quanto il mercato italiano sia cambiato? Come avete affrontato questa ricchezza/problema del film?
LOMBARDI
R: Era per raccontare come sono le cose veramente. Dal mio punto di vista è quello che si dice un film “suicida”: girato in francese e inglese, con attori di colore non professionisti, che parla d’immigrati.
ELISHA
R: Per me imparare questo inglese-nigeriano è stata la chiave per avvicinarmi al personaggio. Volevo anche aggiungere che questo modo di appiattire tutti gli stranieri sotto il termine “extra-comunitario” è tipicamente italiano, in altri Paesi tutti hanno una propria identità.