Paolo Virzì torna a dirigere virando dalla commedia all’italiana, con Il capitale umano, tra dramma, commedia dallo humour nero e thriller, ambientato nella provincia brianzola. Un cast di fuoriclasse – Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Luigi Lo Cascio, Valeria Golino – per fotografare in modo impietoso l’Italia del nostro tempo, adattando brillantemente il romanzo omonimo dello scrittore americano Stephen Amidon, che parla di un lavoro “notevole” fatto dagli sceneggiatori – Francesco Bruni, Francesco Piccolo e Virzì – nel “risolvere con precisione le complessità del romanzo”. Francesco Bruni lo definisce “il lavoro più impegnativo e appassionante che ho fatto in vent’anni di carriera, un gioco di scomposizione non fine a sé stesso”. All’incontro stampa al cinema Adriano di Roma era presente gran parte del cast.
Come nasce l’idea del film?
Paolo Virzì: “C’interessava far emergere questioni che riguardano il nostro tempo, il nostro paese, il mondo benestante, ma senza moralismo, attraverso il racconto. Attraverso una struttura “da puzzle” si entra nella vita, nei sogni, nelle aspettative di quelle persone. Ne emergono considerazioni su cosa abbiano significato la speranza di facili arricchimenti attraverso i giochi finanziari, l’accanimento agonistico nei rapporti umani, specie coi più giovani”. Ma se si parla di messaggio: “Non chiedete mai a un regista qual è il messaggio del suo film: se vi dice che ce n’è uno, vi sta imbrogliando, i temi vengono da soli, naturalmente, dalla storia”.
Il film è un nuovo inizio, visto che ci sono uno stile e dei temi diversi dai suoi precedenti lavori? A quale tipo di cinematografia ha pensato?
P. V.: “Ero alla ricerca di un tono diverso dal solito. Ho guardato altrove: non solo al mondo americano, da cui provengono libro e autore. Volevo esplorare qualcosa di nuovo rispetto alla commedia all’italiana e l’ho trovato nell’intreccio: poteva creare questo tono da allarme nello spettatore, che forse è anche un allarme sul nostro tempo. Ho pensato allo humour nero di certi cineasti ebreo-americani, ma anche al cinema francese di Chabrol”.
Cos’è per lei la Brianza? Perché l’ha scelta?
P. V.: “Per me che non avevo mai girato lì, è un paesaggio esotico, come il Connecticut (dove è ambientato il romanzo, ndr), un luogo affascinante, ricco e spaventoso”.
Che rapporto avete coi vostri personaggi?
Valeria Bruni Tedeschi: “Carla mi ha toccato per la sua grande solitudine, per i suoi sogni, sui quali aveva messo un coperchio, ed anche per la sua crudeltà, perché siamo crudeli quando sentiamo di annegare. Ho esplorato gli aspetti che generano in lei una guerra interiore”.
Fabrizio Bentivoglio: “Dino non ha letto Il capitale umano, quindi non sa di essere un mostro, è “smisuratamente normale”. Abbiamo pensato che se c’è un capitale umano, ce n’è anche uno disumano. E la facilità con cui si supera questo confine in gente come Dino è quasi naturale, lo fa senza rendersene conto. Chiamarlo mostro, serve ad allontanarlo da noi, a non voler capire quanto invece questa capacità di superare il confine tra umano e disumano sia un po’ di tutti e come la naturalezza nel superare questo limite vada sorvegliata”.
Fabrizio Gifuni: “Questa è tra le più eccitanti esperienze cinematografiche che ho fatto. Finora, infatti, raramente mi è stato chiesto di mettere in campo la parte più livida, scura. Ci ho messo un pizzico di violenza in più, che scaturisce dalla disperazione di un uomo sempre molto controllato”.
Uscita massiccia in almeno 350 copie, nelle sale dal 9 gennaio 2014.