Amaro Amore di Francesco Henderson Pepe – recensione

amaro amore«Si è ispirato al film di Bertolucci The Dreamers?» chiede uno dei presenti in sala a Francesco Henderson Pepe durante la conferenza stampa di Amaro Amore, sua prima prova alla regia. Nonostante la risposta sia stata negativa la domanda posta è lecita considerato che anche qui è in ballo un triangolo di affetti morbosi e sinistri, destinato a sfaldarsi in un dramma psico-familiare artificioso e inverosimile, ricalcato a tal punto da apparire (involontariamente) una sorta di parodia del primo.

 

Una coppia di ragazzi francesi, André (Malik Zidì) e Camille (Aylin Prandi), fratello e sorella, sbarcano in Sicilia, nell’isola di Salina, per trascorrere qualche giorno di vacanza e  conoscere la terra  d’origine della loro madre che, nella giovinezza, aveva vissuto lì per qualche anno. Qui si imbattono in Santino (Francesco Casina) che, nonostante il carattere scontroso e un fascino più che discutibile, conquista l’attenzione e l’amore ossessivo dei due stranieri, avvicinandoli, inconsapevolmente, alla scoperta di una verità scomoda e inquietante.

Il problema di Amaro Amore non sta nella vicenda, né in che misura essa sia scontata, quanto nella  rappresentazione che, in ogni sua singola componente, dalla location, alla musica, alla sceneggiatura, rivela  un pensiero confuso e approssimativo sullo strumento artistico a disposizione nonché, purtroppo, sull’intelligenza dello spettatore. Nulla infatti di quanto raccontato scaturisce mai dal naturale percorso delle cose e fin da subito la scelta di ambientare il film nell’arcipelago delle Eolie svela la volontà sleale di servirsi a piacimento di stereotipi e luoghi comuni indiscriminatamente associati alla vita isolana, al tipico miscrocosmo paradisiaco e incontaminato lontano dalla terra ferma. E così abbonda l’omofobia, per forza di cose concentrata nel personaggio di Santino ma echeggiata dai pettegolezzi nel paese; la paura dell’ “elemento esterno”  immediatamente riconosciuto come pericolo e minaccia da una donna d’altri tempi (Angela Molina), tradita dal suo uomo e dal suo sangue, e incapace di guardare oltre i limiti della sua vita. Senza contare l’accento spagnolo che la caratterizza e che, non si capisce come, dovrebbe renderla così atavicamente connessa al terreno siciliano; e, ancora, la ridondanza della semplicità, illustrata da quattro pescatori in croce, intenti a sbrogliare sul pontile qualche rete: un’attività che è necessario immortalare. A ciò si aggiungono le musiche di Andrea Farri che enfatizzano i momenti “topici” e riflessivi dei protagonisti, suggerendo una profondità psicologica e emotiva che non trova alcun riscontro nella loro effettiva costruzione caratteriale, resa goffa e caricaturale da dialoghi che sfuggono alla produzione di significati e, insieme a scene di sesso impacciate e mal curate, preannunciano inequivocabilmente il disastro sul finale, estraneo a qualsiasi logica di buon senso, estetico e narrativo.

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