Architecton: recensione del documentario di Victor Kossakovsky – #RoFF19

Il regista ci invita a riflettere su quella che è l'architettura oggi e suoi materiali utilizzati, i quali provocano seri danni al pianeta

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C’è un forte contrasto in Architecton. Il nuovo documentario di Victor Kossakovsky, presentato alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Best Of 2024, tesse la fila del suo racconto partendo ancora una volta dal pianeta. In Vivan Las Antipodas! ci ha portato a esplorare luoghi della Terra agli antipodi, in Aquarela ci ha mostrato la bellezza e la potenza dell’acqua, e ora, con Architecton, ci fa immergere nell’architettura del mondo, contrapponendo le meraviglie naturali del passato alle creazioni moderne, dove l’uomo ha abusato talmente tanto della natura fino a generare dei danni. Chi ci ha dato il diritto di dominare la natura in questo modo? Chi siamo noi per sopraffarla? È davvero questo il volere di Dio? Domande esistenziali che Kossakovsky si pone mentre avvia un discorso che, nel suo incedere, si perde nella grandiosità delle immagini che compongono l’opera.

 

Architecton: che fine farà il nostro pianeta?

In Architecton, le parole sono rare. I pochi e brevi dialoghi sono affidati a Michele De Lucchi, architetto italiano scelto da Kossakovsky per rappresentare simbolicamente l’intera categoria. Lo vediamo apparire fugacemente, costituendo un intermezzo continuo in una una serie di immagini potenti, avvolte da musiche dall’atmosfera apocalittica. De Lucchi ha assunto due operai per creare nel suo giardino un “cerchio della vita” fatto di pietre, il materiale più antico del mondo. Nessuno, tranne il suo cane, potrà mai entrare in quell’area. L’obiettivo? Delimitare uno spazio in cui l’uomo non ci sarà l’invasione dell’uomo, lasciando la natura come unica protagonista.

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Architecton

Tornare alla bellezza dei materiali naturali

Affidandosi al travelling aereo e al dolly, il regista comincia il suo racconto visivo con una serie di scene visivamente evocative. Filma prima l’architetto che posa le sue mani su un megalite nella cava di Baalbek, in Libano, per poi mostrarci i palazzi devastati dai bombardamenti in Ucraina, e concludere con le rovine lasciate dal terremoto che colpì la Turchia nel 2023. Il contrasto visivo si intensifica man mano che il film avanza: rocce, pietre grezze e sabbia, che scivolano e ruotano su se stesse in una danza ipnotica, rappresentano il passato e l’architettura ancestrale, fatta di materiali naturali. A fare da contraltare gru, cemento armato e calcestruzzo dominano le creazioni moderne, simbolo di una sofisticazione che sembra scollegata dalla natura. Un discorso che sembra più un filosofeggiare sulla nostra esistenza, ma privo di parole, che ritroviamo davvero solo alla fine, in uno scambio di battute più verboso fra lo stesso regista e l’architetto.

Architecton manca di fluidità e in molti punti diventa impegnativo da seguire con piena attenzione, ma le immagini magnetiche attraverso cui ci mostra la materia che ci circonda – quella a cui dovremmo tornare per evitare il collasso del pianeta – stregano all’istante. Al centro c’è una questione cruciale, che solo per la sua importanza merita la visione del documentario: l’impatto dei materiali moderni sull’ambiente. La sostenibilità è la chiave per invertire il disastro climatico e ambientale che si avvicina sempre più. Il pianeta soffre, ci ricorda Architecton, e ha bisogno di noi per guarire. Non dimentichiamolo, soffocati dalla nostra superficialità e indifferenza, ma facciamo il possibile per lasciare alle generazioni future un mondo migliore in cui vivere.

Architecton
2.5

Sommario

Architecton manca di fluidità e in molti punti diventa impegnativo da seguire con piena attenzione, ma le immagini magnetiche attraverso cui ci mostra la materia che ci circonda – quella a cui dovremmo tornare per evitare il collasso del pianeta – stregano all’istante. Al centro c’è una questione cruciale, che solo per la sua importanza merita la visione del documentario: l’impatto dei materiali moderni sull’ambiente.

Valeria Maiolino
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano. Articolista su Edipress Srl, per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”.

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