Barriere, il nuovo film diretto ed interpretato dal Premio Oscar Denzel Washington, si prepara ad affrontare la propria, lanciatissima corsa verso la notte più “stellata” dell’anno. Tra musical patinati e drammatici racconti di formazione, si colloca questo film desiderato da Washington da molto tempo, da quando – leggendo per la prima volta l’opera teatrale di August Wilson – ne rimase talmente folgorato da volerla adattare per il grande schermo. E questo 2017 (almeno per noi italiani) si prospetta come l’anno giusto: Barriere trova il suo punto di forza nella scrittura incalzante e blues del suo autore, esponente di spicco della letteratura teatrale afroamericana, vincitore di un Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1988 e di un Tony Award alla migliore opera teatrale proprio con questa pièce, sesto dramma del suddetto Ciclo di Pittsburgh.
Barriere: Viola Davis e Denzel Washington protagonisti
Il film ruota intorno alle dinamiche familiari di Troy Maxson (Washington) e di sua moglie Rose (Viola Davis): sposati da diciassette anni, vivono la loro tranquilla routine da famiglia afroamericana del ceto medio – basso destreggiandosi tra i figli Lyons e Cory, fratellastri diversi, il primo con la passione per la musica jazz e la bella vita e il secondo per il football. Diversi e opposti rispetto al padre, faticano ad entrare in totale empatia con la personalità espansiva, ridondante e a tratti eccessiva del genitore, che commette un tragico errore vivendo una relazione extra – coniugale con una donna dalla quale ha una figlia, Raynell, che viene accettata anche da Rose.
Barriere:
dal teatro al cinema
Vita, morte, eternità, lavoro, Amore: massimi sistemi, grandi rivelazioni che si annidano nelle piccole cose quotidiane e nei gesti reiterati che compongono la normale routine di una tranquilla famiglia: Washington in Barriere non cerca di costruire – a livello audiovisivo – una narrazione epica: la maestosità si annida nelle parole e non nelle azioni, parole che non servono a far procedere il dramma quanto a mostrare la natura eclettica ed istrionica degli interpreti coinvolti nel progetto. Washington e la Davis si contendono la scena abbandonandosi ad una impressionante mimesi tra realtà e palcoscenico, finzione teatrale e verosimiglianza richiesta dalla macchina da presa; non sono da meno gli attori che li affiancano calandosi nei ruoli dei figli, degli amici o dei congiunti (un esempio, il fratello con gravi problemi psichiatrici Gabe). Nonostante i pregi legati soprattutto agli aspetti interpretativi e drammaturgici, però, Barriere non aggiunge nessun contributo originale alla già vasta filmografia di genere: dietro la volontà di rinnovare un linguaggio “classico” si stempera fin dai primi “assoli” degli attori, facendo scivolare il lungometraggio in un lento adattamento dal sapore incompleto.
Le Barriere del film, spazio reale e figurato
Le Barriere a cui accenna il titolo sono un riferimento alle recinzioni, in particolare allo steccato (in originale Fences) che Rose spinge Troy a edificare, una sorta di cerchio magico nel quale racchiudere il proprio nucleo familiare, dove l’uomo può essere il Re incontrastato dagli aneddoti brillanti, parlantina svelta e le canzoni blues laconiche, mentre la donna si trasforma nella Regina che cerca di difendere, ad ogni costo, da qualunque attacco esterno l’integrità dei propri affetti.