Better Man, in uscita il 1° gennaio 2025, è il nuovo attesissimo biopic musicale diretto da Michael Gracey, già noto per il successo di The Greatest Showman. Il film esplora la vita di Robbie Williams, soffermandosi sulle principali tappe del percorso artistico e personale del cantante divenuto una delle icone più rappresentative degli ultimi trent’anni di musica pop.
La pellicola si avvale di un cast ricco e variegato, con nomi del calibro di Jonno Davies, Steve Pemberton, Alison Steadman, Kate Mulvany, Frazer Hadfield, Damon Herriman, Raechelle Banno, Tom Budge e Jake Simmance. Allo stesso modo il comparto tecnico vanta nomi di rilievo, come dimostrano il direttore della fotografia Erik Wilson e i montatori Martin Connor e Lee Smith, i quali, iniseme alla sceneggiatura firmata dallo stesso Gracey, contribuiscono a creare un prodotto visivamente impattante, a cui va ad aggiungersi l’accompagnamento musicale di Batu Sener.
Distribuito da Lucky Red e prodotto da Big Red Films e McMahon International, Better Man si propone nei termini di una vera e propria esperienza cinematografica, che tra umanità ed esigenze di spettacolo, tenta di mostrare il carattere animale del suo protagonista.
La trama di Better Man
La storia di Robbie è quella di un uomo comune, nato a Stoke-on-Trent con un sogno e deciso a lottare con determinazione per realizzare i propri obiettivi. Better Man racconta la vita e la carriera di quest’uomo, celebre cantante britannico, di cui la pellicola ripercorre il percorso artistico. Dai primi traguardi raggiunti con la boyband dei Take That, al successo come artista solista; sottolineando il carisma naturale di Williams e la sua capacità di trasformare i concerti in veri spettacoli.
Dotato di talento, forza di volontà e un pizzico di testardaggine, Robbie ha infatti costruito la sua carriera affrontando più di una fragilità. Destreggiandosi tra insicurezze, depressione, tossicodipendenza e disturbi mentali, ma al contempo mostrando come queste sfide abbiano contribuito a rendere autentico il suo percorso verso il successo. Un successo coronato dalla vendita di oltre 80 milioni di dischi e dal raggiungimento dello status di icona della musica pop degli anni Novanta e Duemila.
Better Man: lo showman “mascherato”
Ha in parte il sapore del ritorno a casa il nuovo film di Michael Gracey. Di quelli particolarmente attesi. Sì perché se ormai 8 anni or sono il regista australiano aveva saputo allietare il grande pubblico sulle note e le coreografie di The Greatest Showman – affidando al corpo e alla voce di Hugh Jackman il compito di portare in scena la storia e le meraviglie circensi del noto P.T. Barnum, la nuova creatura Better Man rappresenta l’ideale prosecuzione di un discorso che, seppur segua traiettorie ancor più biografiche, sembra non aver alcuna intenzione di abbandonare un linguaggio, quello musicale, divenuto ormai marchio di fabbrica.
Fatta questa premessa – e considerato il materiale narrativo che Gracey si è ritrovato a modellare – appare dunque quasi paradossale dover constatare quanto Better Man, nel suo pur comprensibile desiderio di risultare fresco e innovativo, disperda consapevolmente gran parte del potenziale derivante proprio dalla sua natura di musical. Ammiccando in più di un’occasione a un linguaggio irriverente (o presunto tale) che, al di là delle sembianze scimmiesche di Robbie e unito a una messa in scena talvolta insipida di alcune delle tappe di vita del protagonista, pare spesso dimenticarsi di quella magia che il genere d’appartenenza del film sfrutta da sempre per mescolare liberamente sogno e realtà.
Better Man: occasione sprecata
Badate bene, ad alcune buone intuizioni il progetto di Gracey riesce fortunatamente a ritagliare spazio. Delegando al classicismo del musical (la parentesi She’s the one) e all’intimità di precisi e delicati frangenti – le sequenze con protagonista la nonna di Robbie in primis – le possibilità di una liberazione trascinante dell’immagine. Che culminano in quel delirante pre-finale che, proposto inizialmente come una sorta di copia carbone del “concerto cinematografico” di Bohemian Rhapsody, se ne affranca invece dopo pochi minuti per lasciare spazio a una violenza folle e animalesca.
Trattasi però di momenti isolati. Parziali inversioni di rotta di un’opera costretta nella ricerca spasmodica di una estraneità innecessaria. Che avrebbe tutte le carte in regola per approfondire una interessante riflessione sul confronto generazionale con vecchie icone musicali – una su tutte Frank Sinatra, più volte evocato e rispetto al quale Williams rappresenta il simbolo di una totale inversione di tendenza (la sua musica non fa dimenticare i problemi, ma li porta a galla, li mette in risalto) – ma preferisce piuttosto abbandonarsi a un finale conciliatorio che, purtroppo, sembra riuscire ad emozionare solo grazie alle sonorità del gigante di My Way.
Better Man
Sommario
Un’opera imprigionata nel suo desiderio di irriverenza che, seppur agghindata da alcune buone intuizioni visive, dimentica troppo spesso il proprio genere di appartenenza e fatica a spiccare il volo.