Blonde, recensione del film con Ana de Armas

La recensione dell'attesissimo Blonde, per la regia di Andrew Dominik e con Ana de Armas protagonista, in concorso a Venezia 79.

Blonde

Dopo dieci lunghi anni di assenza dal grande schermo, Andrew Dominik torna al cinema con l’attesissimo Blonde, rielaborazione favolistica del romanzo di Joyce Carol Oates della struggente storia di Marilyn Monroe, qui interpretata da una meravigliosa Ana de Armas. Da bambina indesiderata a icona idolatrata da milioni di persone, passata di mano in mano cercando disperatamente qualcuno da chiamare “papà”, Norma Jean è caduta nell’abisso dell’autodistruzione, uccisa, forse, dal nostro stesso sguardo. Nel cast, anche Adrien BrodyBobby CannavaleXavier SamuelJulianne Nicholson e Lily Fisher.

 

Norma Jean: la fatica dell’autoritratto

Norma Jean gioca a nascondino fin da piccola. Vittima dei comportamenti di una madre instabile, inconsapevole di ciò che il diventare donna porta con sè, Norma trova nell’inquadratura da pin-up e nel cinema un appiglio per procedere a un’involuzione necessaria, per poter stringere la mano a una bambina che avrebbe ancora tanto da capire. Luci e ombre rimescolano le fila di una narrazione ellittica, in cui seguiamo Norma Jean sobbalzare in apnea tra le quinte del palcoscenico di una vita per cui non è stata educata e il desiderio di rinchiudersi nel cassetto che le ha fatto da culla da piccina, vestigia primigenia e unica di un ritratto famigliare incompiuto, in cui la potenza di ciò che sarebbe potuto essere non è mai diventata atto compiuto.

Blonde è, soprattutto, un film di prospettiva, che abbraccia completamente l’occhio della sua protagonista, alla ricerca disperata di un legame da poter stringere con qualcuno oltre lo schermo, con lo spettatore alieno alle dinamiche che ne hanno consumato lo spirito, chi è al di là dello spettro fittizio in cui Norma Jean è stata intrappolata. Marilyn è insieme armatura e minaccia, è l’estrema conseguenza di traumi irrisolti, uno sdoppiamento esperienziale in cui ogni ribaltamento di significati già conosciuti ci avvicina sempre di più alla demistificazione, a ciò che Norma avrebbe sempre desiderato: la comprensione.

Blonde Ana de Armas

Tra la carne e le pieghe di un esistenza lacerante

Blonde vive di una relazione biunivoca tra il soggetto della storia e lo spettatore, ricevente unico di stimoli e punti di svolta che gli altri protagonisti sullo schermo non intercettano, favorendo implicitamente quella scissione tra un sè pubblico e privato endogena all’arte attoriale, ma portata alle estreme conseguenze nel caso di Marilyn. La voce di Norma rimane inascoltata, oppressa dalle proiezioni degli altri sulla sua persona, che stridono con gli unici legami affettivi di cui vorrebbe poter godere: l’amore di un padre e l’attesa di un figlio. Questa rielaborazione favolistica, nera e crudele, ma in cui c’è tanta verità ed emerge tutto l’amore che Norma avrebbe voluto diffondere, lontana dagli schemi del biopic e vicina solo a quello che la protagonista veramente sente, si fa metaforicamente successore spirituale del viaggio di Alexia in Titane, film vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2021. Con la stessa audacia e sfrontatezza visionaria di Julia Ducournau, Andrew Dominik riesce finalmente a portare su schermo la storia che custodiva gelosamente da quasi 15 anni, in attesa di trovare la sua “bionda”.

In Blonde è il contenuto che si adatta alla forma e alla grammatica cinematografica, mai il contrario. L’occhio – o il corpo di Marilyn, un “pezzo di carne” agognato e preteso – ci indica dove guardare, come raggiungere Norma anche quando la stessa non riesce a farla risalire dalle profondità di una psiche che è in realtà bambina, che vuole guardare indietro ma al tempo stesso dimenticare. Mutano i formati, il modo di inquadrare Norma/Marilyn, si adatta la gradazione cromatica in base all’eloquente filtro visivo della protagonista. Storicamente, ci sono note tante cose della sua vita e carriera, ma Norma ve le racconterà dal suo punto di vista.

Blonde: il cerchio di luce oltre Marilyn

Come analizza accuratamente Richard Dyer nel suo saggio sul divismo Star, e il regista Andrew Dominik traspone su schermo, l’immagine di Marilyn Monroe è da collocarsi nella corrente di idee sulla moralità e sessualità degli anni Cinquanta americani: anni dell’affermazione di star “ribelli” come Marlon Brando, James Dean ed Elvis Preasley; periodo di diffusione dei concetti freudiani nel dopoguerra e di attenuazione della censura cinematografica di fronte alla competizione con la televisione; ma anche anni di tensioni sociali, sessuali ed economiche. L’icona, il personaggio di Marilyn, riusciva a condensare sessualità e innocenza tramite un carisma unico, e sembrava personificare le tensioni che attraversavano la vita ideologica dell’epoca: un’eroica sopravvivenza alle tensioni o una loro dolorosa esposizione? L’opera di Andrew Dominik cerca di coniugare entrambi i quesiti.

Seppur Andrew Dominik ci abbia abituati a un’esposizione sempre molto elegante del dolore, qui il regista lascia le redini della storia in mano a Norma, facendola sognare e urlare al tempo stesso, lasciandole scegliere i colori che più preferisce per poter dipingere o rivedere alcuni ricordi. Un cerchio di luce che contiene un sè alternativo da portarsi accanto ovunque si vada: non stiamo parlando solo di un esercizio dell’Actors Studio insegnato a Norma, ma di una vera e propria luce che tenderà a inseguire sempre – qualche volta la sovrasterà anche nell’immaginario – per ricordarle la terribile condanna con cui dovrà sempre fare i conti: essere altro per chi non ci conosce, assumere su di sè significati che non sentiamo nostri, rifugiarsi in una maschera spaventosa perchè è ciò che viene richiesto.

In Blonde, non saremo mai noi spettatori a vedere Marilyn, a visionare i frammenti di sequenze iconiche prelevate dai sui film più di successo: di questo, Andrew Dominik, rende partecipe solo il pubblico delle sale di quegli anni, masse di ammiratori folgorati da un’inscindibile e sofferente patto tra il riflesso cinematografico e la caratura drammatica che ogni esistenza debilitata porta con sè. A noi, resta il privilegio di tendere la mano a Norma Jean, ricordarla oltre il mito, l’icona. Oltre le barriere che Andrew Dominik scavalca in nome della finzione rimaneggiata, per ricordarci che il biondo è una maschera ma, tavolta, può anche essere luce: per salvare Norma.

- Pubblicità -
RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Agnese Albertini
Articolo precedenteBlonde: le foto dal red carpet con Ana de Armas, Adrien Brody, Brad Pitt a Venezia 79
Articolo successivoGlass Onion: ecco il trailer del sequel di Knives Out
blonde-ana-de-armasIn Blonde, non saremo mai noi spettatori a vedere Marilyn, a visionare i frammenti di sequenze iconiche prelevate dai sui film più di successo. A noi, resta il privilegio di tendere la mano a Norma Jean, ricordarla oltre il mito, l'icona. Oltre le barriere che Andrew Dominik scavalca in nome della finzione rimaneggiata, per ricordarci che il biondo è una maschera ma, tavolta, può anche essere luce: per salvare Norma.