Boxtrolls – Le scatole magiche: recensione del film Laika

Dopo Coraline e Paranorman la Laika di Travis Knight ci regala un nuovo folgorante capolavoro in animazione stop-motion: Boxtrolls le scatole magiche.

 

E’ la storia di un bimbo chiamato Eggs, salvato e allevato da una comunità di strane creature, i Boxtrolls, che vivono nelle viscere del sottosuolo della cittadina di Cheesebridge. Sono dei buffi, quanto pacifici, folletti che indossano le scatole abbandonate dalla gente e dal cui contenuto prendono i loro nomi, come Fish, Fragile, Sweet. Eggs è convinto di essere uno di loro, vive e si comporta come una creatura del sottosuolo, rovistando nella spazzatura e mangiando insetti, non immaginando minimamente di provenire dal mondo sovrastante. Quando il malvagio e ripugnante Archibald Snatcher si offre di sterminare i boxtrolls per ottenere una tuba bianca, simbolo di grande prestigio e rispetto, ed essere ammesso così nell’elitaria Gilda del Formaggio, Eggs, ormai cresciuto, deve architettare un piano per salvare i suoi strambi amici, aiutato da una bambina intraprendente: Winnie, la figlia del sindaco e presidente della gilda. Eggs scoprirà così le sue vere origini.

Boxtrolls le scatole magiche è una mirabolante favola nera dal sapore steampunk che riporta la mente ai romanzi di Verne, a Dickens e a Carroll. La storia è tratta dal libro di Alan Snow Here be Monsters, un racconto, a detta di Travis Knight, zeppo di strane creature, macchine assurde, atti eroici, e perfide furfanterie, che non aspettava altro che essere portato in scena con la stop-motion, una tecnica antica quanto il cinema che aveva però bisogno del raggiungimento di un notevole livello tecnologico per poter visualizzare adeguatamente le fantasticherie sfrenate che si nascondevano tra le righe. Era una vera impresa, dopo i due film precedenti della Laika, mantenere un livello così alto, ma Anthony Stacchi e Graham Annable accettano la sfida e riescono pienamente a dare la giusta qualità, sia tecnica che narrativa.

Pur raggiungendo un livello qualitativo altissimo, l’animazione a passo uno mantiene orgogliosamente la sua autonomia e tutta la sua riconoscibilità, tanto da non poter essere neanche lontanamente confusa con la CGI, che è usata nel film solamente come supporto di post-produzione per l’integrazione di effetti e per la cancellazione degli elementi di supporto che permettono ai burattini di compiere azioni mirabolanti, quanto rocambolesche. Ed è emozionante cogliere qua e là piccole imperfezioni, come un granello di polvere che si muove su un vestito o la trama di un tessuto che non ne vuole proprio sapere di essere soggiogata dagli animatori, tutte cose che conferiscono quel qualcosa di manuale, di artigianale, ottenuto con la pazienza e con il duro lavoro.

Le scenografie e i costumi sono portentosi, soprattutto per il senso di decadente e di sporco che riescono a trasmettere. Paul Lasaine (scenografo) e Deborah Cook (costumista) riuscono ad imbastire uno stile molto lontano dalla tendenza dell’animazione moderna, così patinata, linda, plasticosa, fintamente tranquillizzante, da apparire immediatamente finta. I denti dei personaggi sono storti e marci, i vestiti sono luridi e imbrattati di umori e residui organici, le strade sono lerce, le architetture dei quartieri più poveri e del sottosuolo cadono a pezzi e sembra quasi di sentire il tanfo dei sobborghi londinesi ottocenteschi. Il 3D assieme alla fotografia cupa di John Aslee Pratt, che sembra uscita da un film sulle gesta di Jack lo Squartatore, aiuta a conferire una ulteriore gotica patina di veridicità.

Boxtrolls le scatole magiche è una favola per grandi e bambini, ma destinata ad essere pienamente apprezzata dai palati più raffinati, che per fortuna, grazie all’opera del buon Tim Burton e oggi anche di Travis Knight, sono sempre più numerosi.

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