Presentato nella sezione Grand Public della 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma, Breve storia d’amore (guarda il trailer) segna l’esordio alla regia di Ludovica Rampoldi, già sceneggiatrice di alcune delle produzioni più incisive del cinema e della serialità italiana recente. Con un cast composto da Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Andrea Carpenzano e Valeria Golino, il film si inserisce nel filone del realismo sentimentale contemporaneo, quello che prova a indagare le fragilità emotive della generazione dei trentenni e dei cinquantenni senza indulgere nel melodramma.
Prodotto da Indigo Film e HT Film con Rai Cinema, e distribuito da 01 Distribution dal 27 novembre, il film si apre come una storia di tradimento e finisce per diventare un’indagine, forse involontaria, sicuramente approssimativa, sull’incapacità di prendersi davvero la responsabilità dei propri desideri. Rampoldi sceglie un registro sobrio, quasi distaccato, per raccontare un intreccio che si sviluppa intorno a due coppie – Lea e Andrea, Rocco e Cecilia – unite da un filo di menzogne e curiosità reciproche. L’incontro casuale tra Lea e Rocco in un bar dà il via a una relazione clandestina che, nelle intenzioni, dovrebbe rimanere una parentesi; ma la progressiva ossessione della giovane donna rompe l’equilibrio e trascina tutti in una spirale di esposizione e rivelazioni.
La regista opta per una narrazione fatta di frammenti, ellissi e sguardi, come se la storia stessa fosse una serie di impressioni più che una trama compiuta. È un linguaggio visivo coerente con la sua formazione da sceneggiatrice televisiva, ma che sul grande schermo talvolta risulta trattenuto, quasi timoroso di sporcarsi davvero con la materia viva del desiderio e della colpa.
Un ritratto di coppia che sfiora la verità ma non la afferra mai
Uno dei tratti più evidenti di Breve storia d’amore è la volontà di costruire personaggi che incarnino una condizione più che una personalità. Lea e Rocco non sono tanto individui quanto rappresentazioni di due fasi della vita – la fame di esperienze e la paura di invecchiare – che si incontrano in uno spazio sospeso, quello della stanza d’albergo. Tuttavia, questa scelta di scrittura così asciutta finisce per generare una certa distanza tra spettatore e racconto.
La relazione clandestina, che avrebbe potuto essere il motore pulsante del film, è invece raccontata per impressioni, con un montaggio ellittico che rinuncia a costruire una vera tensione emotiva. Rampoldi sembra interessata più a catturare l’atmosfera di una deriva sentimentale che a raccontarla davvero. Il risultato è un film che guarda ai personaggi da fuori, con uno sguardo quasi clinico, e che per questo non riesce mai a diventare del tutto coinvolgente.
A funzionare meglio è la dimensione corale: la presenza di Adriano Giannini e Valeria Golino dà solidità ai momenti in cui il film si apre alla riflessione generazionale, mostrando come il tempo e le scelte pesino in modo diverso su chi ha già vissuto e su chi ancora insegue qualcosa. Pilar Fogliati, invece, offre una performance di grande sensibilità, la sua presenza scenica è magnetica, i suoi occhi occupano tutto lo spazio, arrivando fino a riempire la sala, eppure la sceneggiatura non le permette di spingersi dalle parte della grande performance. Lea è costruita come una donna che cerca un senso, ma quando il film potrebbe concederle un vero lato oscuro, Rampoldi sembra tirarsi indietro, trasformando la protagonista in una figura più vittimistica che consapevole. È qui che il racconto perde forza: nel momento in cui avrebbe potuto sfidare lo sguardo morale dello spettatore, sceglie la via della giustificazione.
Un esordio irrisolto sul disincanto dei sentimenti
Breve storia d’amore è un film costruito con rigore formale e una chiara volontà autoriale. Rampoldi non cerca mai il colpo di scena né la provocazione, preferendo un tono controllato, algido, che restituisce la freddezza emotiva dei suoi personaggi. Tuttavia, proprio questa misura rischia di diventare un limite: la regia si muove con tale discrezione da non lasciare spazio al rischio, e così la storia rimane sospesa, priva di quella spinta drammatica che le avrebbe permesso allo spettatore di entrare nei fatti, nelle vite dei personaggi.
Alla resa dei conti finale sembra che la narrazione trovi finalmente il suo significato ultimo, ma poi manca di coraggio, come se l’autrice non volesse davvero comprendere fino in fondo i suoi personaggi, ma solo giudicarli e assolverli. È una scelta coerente con il tono generale, ma che finisce per rendere l’esperienza in sala più osservativa che emotiva. Si assiste a una disamina dei rapporti umani, ma senza quella vibrazione di verità che trasforma l’analisi in racconto.
Rampoldi firma un’opera prima di misura, che preferisce la reticenza all’intelligenza. Breve storia d’amore è, come dice il titolo, un frammento lucido ma incompiuto: uno sguardo su un sentimento che si consuma in fretta, prima ancora di farsi carne, lasciando dietro di sé solo l’eco di ciò che avrebbe potuto essere.
Breve storia d’amore
Sommario
Breve storia d’amore è un film costruito con rigore formale e una chiara volontà autoriale. Rampoldi non cerca mai il colpo di scena né la provocazione, preferendo un tono controllato, algido, che restituisce la freddezza emotiva dei suoi personaggi.