Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza: la recensione del film di Tomoharu Katsumata

L'opera spaziale di Tomoharu Katsumata torna in sala il 20, 21 e 22 maggio

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Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza, opera del 1982 prodotta da Toei Animation e diretta da Tomoharu Katsumata, torna in sala il 20, 21 e 22 maggio in occasione dei 45 anni dell’arrivo della serie tv animata sulla tv italiana – diretta da Rintarō e trasmessa su Rai 2 a partire dal 1979.

 

Musicato da Toshiyuki Kimori e uscito pochi mesi prima del pilota di Capitan Harlock SSX – Rotta verso l’infinito, secondo prodotto seriale dedicato al brand, il film di Katsumata fa infatti da apripista alle avventure narrate su piccolo schermo, risalendo agli albori della leggenda del pirata spaziale più celebre dell’animazione giapponese e raccontandone l’inizio della carriera da “esule”. Un personaggio creato dalla mano di Leiji Matsumoto nel 1977 e caratterizzato da un outfit diventato iconico – benda nera, mantello, stivali e cicatrice ad attraversare il volto; l’incarnazione umana dei valori di incorruttibilità morale, idealismo e coraggio, tornata in questi giorni sul grande schermo per una nuova (vecchia) avventura.

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Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza: la trama

Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza si apre con una sconfitta. La lotta per la libertà condotta dalla Terra contro gli invasori Illumidiani è infatti stata persa; e le città del pianeta, governate da corrotti, hanno piegato la testa di fronte all’invasore straniero. Accolto da questo sconfortante scenario, il valoroso Harlock, rincasato con il suo equipaggio a bordo della propria nave spaziale, è determinato a fare giustizia e liberare la Terra dai suoi occupanti.

E, insieme a lui, altri uomini e donne coraggiosi si uniscono alla Resistenza mettendo a rischio le loro stesse vite. Tra loro vi è Maya, la “voce” degli oppressi, Tochiro, costruttore dell’astronave Arcadia, Emeraldas, piratessa galattica e Zoll, soldato del pianeta Tokarga unitosi ai ribelli per vendicare il suo popolo. Legati da amicizia, amore e lealtà, i compagni affonteranno lunghi viaggi spaziali, sparatorie, lutti e gloriose battaglie. Fino all’inevitabile resa dei conti che deciderà le sorti della Terra e degli intrepidi eroi che hanno provato a difenderla.

Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza: tasselli

È il 1982. L’anno di E.T, l’anno di Blade Runner. È più in generale un periodo di grande messa in discussione dei confini di creatività e immaginazione; un periodo che ci trasporta verso galassie lontane lontane, mostri alien-i, dimensioni futuristiche e alternative, pianeti distanti e costantemente ir-raggiungibili. Insomma un grande puzzle dalle tinte sci-fi e intergalattiche del quale Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza non è che un altro fondamentale tassello.

Capitan Harlock. L'arcadia della mia giovinezza

L’opera di Katsumata è infatti un’opera spaziale gigantesca, una epopea costruita su un ricco immaginario fatto di enormi navicelle, pianeti dalle distinte conformazioni, immense e inattraversabili nebulose e avventure ai limiti della sopravvivenza. Oltre che su di un impianto epico fondato tanto sulla potenza visiva di alcuni scorci interplanetari, quanto su una calibrazione attenta degli scambi dialogici presenti – tutti volti ad accrescere il carico emotivo del film e la sua (pur sempre apprezzabile) “seriosità”.

Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza: memoria e archivio

Ma Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza, a partire da un titolo già abbastanza esplicativo, è innanzitutto una pellicola che ragiona di memoria. Che sfrutta il ricordo come base portante della sua narrazione e ne sfrutta la potenza immaginifica nell’ottica di un continuo intersecarsi di piani narrativi. Non a caso il film si apre con un flashback che getta le basi per una risoluzione finale ancora di là da venire. E non a caso, all’interno del racconto, Harlock e Tochiro scoprono una sorta di “archivio comune” che – al di là dei limiti spazio-temporali – sancisce l’amicizia tra i due e ne lega destini e traiettorie future.

L’archivio è però comunque una dimensione che il regista lega strettamente all’esperienza umana, all’analogico. Che dunque sfugge a qualsivoglia perversione tecnologica della nostra epoca (la sola telecamera visibile è asservita al potere e malignamente utilizzata per riprendere le esecuzioni dei ribelli) per rifugiarsi tra le inafferrabili frequenze radiofoniche di Maya e il mirino manuale appartenuto all’avo del protagonista – nonché tra le polverose pagine di un vecchio libro guida.

Dopotutto anche nella serie tv di fine anni ’70 si immaginava un futuro ipnotizzato dal proliferare di schermi; e l’opera di Katsumata ad essa si riallaccia, riprendendone di fatto anche le atmosfere pessimistiche qui raccontate dall’esilio a cui la Terra condanna i propri eroi. In un mondo afflitto da lutti, concrete possibilità di estinzione ed empietà. Un mondo fragile e perennemente in guerra con se stesso. Un mondo dove la Resistenza alle forze del Male non può che essere affidata ad un manipolo di uomini e donne valorosi, destinati a solcare a lungo per il mare di stelle a bordo di navi battenti bandiera pirata.

“Un istante ripetuto nel tempo diventa eterno, è questa la libertà…”

Sommario

Un'opera spaziale gigantesca, un'epopea di immaginari fondata su valore della memoria, analogico e pessimismo
Dario Boldini
Dario Boldini
Laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, ha collaborato con l'Associazione Culturale Lo Sbuffo a partire dal 2019, scrivendo articoli e approfondimenti sul mondo dello spettacolo. Ha poi frequentato la specializzazione in Critica cinematografica presso la rivista e scuola di cinema di Sentieri Selvaggi di Roma, con la quale collabora dal 2022. Appassionato di cinema e serie tv, collabora con Cinefilos dal 2023. A partire dal 2022 ha partecipato a diversi festival cinematografici su territorio nazionale, tra cui quelli di Venezia, Roma, Torino, Bergamo e Trieste.

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