C'mon C'mon recensione
Joaquin Phoenix, Woody Norman (L-R)

In Futura, documentario italiano presentato in anteprima nel 2021 alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, tre registi sono andati in giro per l’Italia a chiedere agli adolescenti come si vedevano nel futuro, cosa immaginavano sarebbe successo nelle loro vite. Le risposte sono state eclettiche: alcune molto corrette e professionali, altre più eccentriche e rarefatte. E, anche se i registi non hanno effettivamente preso parte alla trama del film, si può supporre che l’esperienza di connettersi e conversare con i bambini sul loro futuro deve aver permesso loro di vedere e comprendere qualcosa anche su se stessi.

 

C’mon C’mon: ecco a voi Johnny e Jesse

Qualcosa del genere accade anche in C’mon C’mon, il bellissimo, affascinante e malinconico film del regista di Begginers, Mike Mills, distribuito in Italia da Notorious Pictures in cui Joaquin Phoenix interpreta Johnny, un giornalista radiofonico di New York che viaggia per gli Stati Uniti intervistando bambini e ragazzi di diverse età, etnie, esperienze e classi sociali e chiedendo loro, tra le altre cose, come immaginano il loro futuro. L’ironia del caso è che lui, che ha più di quarant’anni, non sembra avere un’immagine chiara del suo. Un giorno, Johnny viene chiamato dalla sorella Viv, che non sentiva da tempo, per aiutarla con suo figlio Jesse di 9 anni, mentre lei deve prendersi cura del marito affetto da disturbo bipolare.

Questa è l’avventura che Mills racconta nei suoi semplici ma emotivamente potenti 110 minuti di girato. E’ un bianco e nero meravigliosamente espressivo quello che il DOP Robbie Ryan (un frequente collaboratore della regista britannica Andrea Arnold) imprime su ogni fotogramma urbano di cui si compone la pellicola; Detroit, New York, Los Angeles e New Orleans, sono protagoniste del documentario di Johnny quanto del film di Mike Mills, che combina la storia di questa “coppia male assortita” di zio e nipote alle prese con problemi pratici e personali, racconto di complessità umane ma anche cittadine. Mike Mills abbandona la cinepresa nelle mani del piccolo Jesse, consapevole che il suo sguardo fanciullesco e meravigliato, lo aiuteranno a cogliere al meglio le sfumature di esistenze e di città altrimenti percepite da Johnny come grigie, apatiche, uniformate.

C'mon C'mon Joaquin Phoenix

Troviamo qui il profilo di Joaquin Phoenix più vicino all’interpretazione di Her, in un film paradossalmente anti-tecnologico, ambientato ai giorni nostri, ma che pretende di vivere nell’universo cinematografico di qualche anno fa, quando la tecnologia attirava i bambini, non veniva idolatrata, ma era percepita come ausilio di potenziamento dell’immaginazione dei più piccoli, ai cui occhi si spalancava la possibilità di conservare il divertimento, il gioco, la magia dei suoni e rumori. Immortalare il presente per poter svoltare il futuro, sembra suggerirci la schiera di adolescenti con cui Johnny interagisce quotidianamente; ma la comprensione dell’oggi è necessaria anche per gli adulti, irrigiditi nell’operare per qualcuno o in virtù di qualcosa, che hanno perso la concretezza tattile della città, quanto il furore emotivo del sogno, dell’immaginazione.

C’mon C’mon: Che padre voglio essere?

Sono fratello, padre, o zio? Johnny non riesce ad auto-collocarsi, timoroso di incespicare ancora tra rapporti frammentati, occasioni mancate, dialoghi spezzati. E’ stato un figlio amato, un fratello invidiato, e un amante dimenticato, ma non è ancora stato zio. Dall’altra parte, Jesse è figlio di una mamma, che riconosce anche come papà, ma sembra essere stato concepito dalla natura stessa, prima ancora di essere ricondotto a un nucleo familiare specifico, che rivendica incessante la sua sete imperitura di sopravvivenza. Il mondo infantile è vivo, instancabile e curioso, come grida a gran voce la stessa filmografia di Mills che, prima ancora di riconnettere Joaquin Phoenix con le radici primordiali dei rapporti umani in C’mon C’mon, aveva abilmente scannerizzato la figura di Alicia Vikander nel cortometraggio I Am Easy To Find, ricomponendola in un continuum filmico che la vedeva potersi esibire liberamente in tutta la sua fluidità di bambina, ragazza, donna.

Johnny e Jesse non gettano mai la presa in C’mon C’mon: vogliono conoscersi, ritrovarsi, amarsi. Il loro è un percorso esplorativo che si muove tanto all’esterno, quanto negli interni, suggellando la totale comprensività di ambienti, suoni e colori di cui un rapporto ha bisogno per fiorire, e che direzione dovrà prendere in futuro, tenendo conto dell’oggi, delle circostanze in cui ci troviamo. Che padri vogliamo essere, nei confronti dei nostri affetti e della nostra Terra? E noi ragazzi, chi vogliamo ci accompagni in questo percorso di crescita, tra le strade di una città che deve ancora appartenerci, diventare pienamente nostra casa?

Mike Mills risponde a tutti questi interrogativi ricordandoci l’importanza della scelta: possiamo, e dobbiamo, discernere, selezionare, anteporre, tanto per quanto riguarda i rapporti interpersonali quanto aprendo lo sguardo all’ordinarietà mutevole della città, che è casa non solo di esistenze comprovate e vissute, ma anche di nuove vite. Determinare la propria posizione nel cinema odierno significa produrre, incapsulare la veridicità della sfera famigliare, colorare il bianco e nero routinario scegliendosi, di giorno in giorno.

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