Contagion: recensione del film di Steven Soderbergh

Contagion

Contagion a pelle sembrerebbe essere un film come molti altri, un thriller analogo ad altre opere che hanno parlato di virus, contagio, epidemia. Tuttavia il Contagion di Steven Soderbergh è un film che si distacca molto dal costrutto discorsivo puro del genere, allontanandosene man mano che la narrazione va avanti, diventando qualcosa di molto più che un semplice esercizio di forma.

 

Contagion racconta con sterilità disarmante le vicissitudine di diversi personaggi che ruotano intorno ad una società che si trova di fronte un’epidemia senza precedenti, raccontando tutte le varie figure che si trovano, per il loro ruolo sociale, coinvolte in prima persona nel pandemonio generale. Inevitabilmente le relazioni umane diventano il fulcro centrale del film, di una moralità in bilico di fronte all’indecifrabile e all’invisibile. I personaggi diventano preda delle pulsioni più profonde dell’istinto di sopravvivenza, dove l’ossessione per il contatto e l’interazione diventano il nemico numero uno da combattere, a colpi di asocialità e isolamento. Come l’immune Matt Damon che dopo aver perso la moglie portatrice del virus, isola se stesso e sua figlia nella speranza di un futuro, che sembra non esserci. Nella caparbietà e nel dovere troviamo invece i personaggi di Kate Winslet e Marion Cotillard che rischiano la vita e il contagio per portare a termine i loro compiti, che hanno ancora una valenza nel mondo.

Contagion castIn tutto questo colpisce l’atteggiamento freddo e la capacità di distacco di Soderbergh di rimanere impassibile, rigorosamente ancorato al suo sguardo oggettivo, limitandosi a impreziosire il film di uno stile sterile, meccanico, quasi come se in fondo avesse paura egli stesso di contrarre il virus e perdere il controllo.  La stessa meccanicità sembra confluire anche nelle musiche che accompagnano le immagini a tre, quattro passi di distanza, scandendone solo il ritmo.

In questo contesto la paura diventa protagonista indiscussa della vita e anche provare sentimenti di preoccupazione verso i propri cari diventa motivo di rimprovero, per una società che in momenti così sembra non riuscire ad essere compassionevole. Nel caos più totale e nella perdita di realtà l’unico baluardo a cui aggrapparsi sembrerebbe essere quello di un blogger che placa l’ira delle folle attraverso la rete scoprendosi poi un affabulatore ingannevole e meschino, come forse internet in situazioni come queste potrebbe essere. E’ forse una delle tante facce della paura che emergono dal film? E che dire invece delle istituzioni che sembrano reagire lentamente al male, è forse dentro di noi l’antidoto tanto cercato?

Da film freddo e distaccato, Contagion non sembra voler rispondere alle domande che pone, né tanto meno il regista sembra voler prendere posizione di fronte agli eventi che racconta. Si limita soltanto ad enunciarli servendo solo in ultima istanza,  su un piatto d’argento un accenno di accusa, di posizione, di constatazione quasi retorica verso il perché e il come, lasciando sempre alla fredda e cruda realtà dei fatti il compito di decifrarla.

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