Dylan Dog: recensione del film con Brandon Ruth

Dylan Dog

No Pulse? No problem! Niente battito? Nessun problema! Così recita il biglietto da visita di Dylan Dog. Se avete a che fare con situazione che hanno dello straordinario, chiamate lui: l’Indagatore dell’Incubo. Arriva al cinema questo 16 marzo, dopo anni di gestazione e di pre-produzione, Dylan Dog, basato sull’omonima serie a fumetti ideata da Tiziano Sclavi, il fumetto più venduto di sempre in Italia e famosissimo anche all’estero.

 

E mai come questa volta la situazione è delicata: come approcciarsi ad un fumetto così complesso e così amato? Come dare corpo ad un personaggio che prima di diventare di carta, era già di ‘carne’ (le fattezze di Dylan sono dichiaratamente ispirate a quelle di Rupert Everett)? Ci ha pensato l’americano Kevin Munroe, che a detta sua, ha cercato di trasportare al cinema il mood del personaggio senza volerne fare una sua copia, perché “cinema e fumetto sono linguaggi diversi”.

Dylan Dog, il film

Ma andiamo con ordine: in questo episodio cinematografico, Dylan ha abbandonato le sue vie oscure per dedicarsi a casi più tranquilli, come questioni di corna e frodi assicurative. A riportarlo nel mondo degli incubi arriva Elizabeth, giovane e bella cliente che chiede aiuto per cercare l’assassino di suo padre. Inizia così per Dylan la discesa agli inferi, dove rincontrerà tutti i suoi amici/nemici: i vampiri e i licantropi che si contendono il dominio di una uggiosa e notturna New Orleans.

E’ chiaro dall’inizio, ma già si era detto, che non ci sarebbero stati proprio tutti: manca Groucho, il maggiolone è nero e non siamo nella vecchia Europa, a Londra, il protagonista non sembra affatto tormentato, né magrolino, non ci sono incubi ma solo mostri reali. Insomma, l’obbiettivo di Munroe, cioè quello di riportare almeno l’atmosfera del fumetto al cinema, sembra essere stato mancato. A ben vedere per buona parte questo ‘fallimento’ è da imputare alla brutta scelta del protagonista: erano in pochi e vedere bene il ragazzone tutto muscoli Brandon Ruth nel ruolo di Dylan, e il risultato finale non ha smentito le aspettative. Per lo più mono espressivo il giovane Brandon non risulta assolutamente credibile in un ruolo così profondo, e non vogliamo qui dire che sia proprio incapace, ma forse non era proprio adatto a questa interpretazione.

Insomma l’Italia sarà un territorio accidentato dove questa pellicola, distribuita in 300 copie, cercherà di farsi strada, principalmente per colpa, o per merito, della grande passioni che lega milioni di lettori a questa figura così ambigua. Ma si sa che gli americani vogliono arrivare a tutti, e realizzando alcuni progetti, rischiano di lasciarsi alle spalle tanti piccoli dettagli, che per i puristi sono fondamentali.

Restano tuttavia le piccole citazioni filologiche come i modi di dire del nostro (l’espressione ‘Giuda ballerino’ su tutte) e gli omaggi al creatore Sclavi, il cui nome è usato per identificare uno dei decani dormienti della setta di vampiri dominante, e all’editore Bonelli, che invece diventa un vecchissimo vampiro che aiuta Dylan nella sua indagine. Quello che però lascia ancora più perplessi della mancanza di fedeltà al fumetto, che potrebbe anche essere ammessa in un cine-fumetto made in USA, è la confusione con cui la trama viene dispiegata e frammentata attraverso piccoli tasselli che a fatica, nel finale, trovano il loro posto e danno una coerenza stentata alla storia.

Preso per un film indipendente dal fumetto, Dylan Dog potrebbe anche risultare godibile, non troppo orrorifico e condito di tanti piccoli dettagli da zombie-comedy che lo rendono felicemente grottesco, tanto da poter addirittura sperare in un buon risultato in giro per il mondo che possa far pensare ad uno o più sequel. Non si sa poi il pubblico italiano come la prenderà, ma personalmente in questo, se non c’è battito (ritmo nel film) allora il problema c’è, eccome!

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