Eravamo bambini: recensione di un puzzle tragico

L'adattamento del monologo di Massimiliano Bruno diventa un dramma corale nerissimo, ambientato in Calabria in tre momenti diversi

eravamo bambini recensione

Sono passati diversi mesi dalla presentazione in anteprima di Eravamo bambini ad Alice nella città, la sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma, e finalmente il film che Marco Martani ha adattato dal monologo “Zero” di Massimiliano Bruno (qui anche co-autore) arriva in sala, distribuito da Vision Distribution, a partire dal 21 marzo 2024. Un dramma corale nerissimo, ambientato in Calabria in tre momenti diversi della vita dei ragazzi protagonisti – interpretati da Lorenzo Richelmy, Alessio Lapice, Lucrezia Guidone, Francesco Russo e Romano Reggiani – e del “minaccioso onorevole Rizzo”, come il regista definisce il personaggio di Massimo Popolizio, e suo figlio, il Peppino di Giancarlo Commare.

 

Eravamo bambini, la trama

In un paese della costa calabrese, il pacifico Cacasotto (Russo) viene arrestato per aver minacciato con un coltello un carabiniere. Durante il suo interrogatorio si intrecciano le storie di altri quattro suoi coetanei, amici d’infanzia, tutti traumatizzati da un fatto di sangue a cui hanno assistito da bambini. Un messaggio di uno di loro, il celerino Gianluca (Lapice), rompe il silenzio e le routine degli altri annunciando l’intenzione di voler tornare nel paese calabrese per vendicarsi di qualcosa o qualcuno. La rockstar Inferno (Richelmy), l’insoddisfatta Margherita (Guidone) e il borderline fratello minore Andrea (Reggiani) lasciano così le loro vite “interrotte” per raggiungerlo ed impedirgli di fare qualche sciocchezza. Ma una volta arrivati in Calabria, nella San Severo di tante vacanze e altrettanti ricordi di gioventù, tutti si ritroveranno dopo tanti anni a guardare in faccia l’orrore vissuto per fare finalmente i conti con il trauma che non ha permesso loro di vivere una vita normale.

Eravamo bambini, vendetta e tragedia, violenza e colpa

Comprensibile che Martani stesso citi lo Sleepers del 1996 tra i riferimenti del genere al quale potrebbe appartenere il suo nuovo film, come anche che l’abstract possa far venire in mente altri cult come IT o Mystic River, eppure l’adattamento del monologo di Massimiliano Bruno “Zero” sembra avere qualcosa di unico e originale, rispetto a cotanti ‘padri putativi’. Che come questo hanno la vendetta al centro della premessa e come principale motore, ma che si sviluppano in maniera diversa.

eravamo bambiniQui infatti, non sono solo le vittime di ieri i protagonisti, ma anche la solitudine che portano con sé gli adulti che sono diventati. Alla loro impossibilità di superare il trauma che li unisce si affianca infatti un senso di non appartenenza che sembra trovare sollievo solo nel centro dell’uragano emotivo che li tormenta. Solo lì dove tutto è iniziato, e con le figure che popolano quello stesso microcosmo, la loro enclave calabrese, rimasto immutato negli anni. Fino al momento raccontato sullo schermo, frammentato narrativamente in tre diverse linee temporali, non facili da portare avanti e sviluppare in maniera indipendente.

Eravamo bambini, un racconto su tre piani

Come tutto sommato riesce a fare la scrittura di Bruno e Martani, che in questa veste sembra dare il meglio di sé. Ed è un peccato, considerata la materia tanto sentita, il lungo impegno dedicatole e i personaggi interessanti che vediamo prendere vita sullo schermo (alcuni meglio di altri, a volte troppo condizionati dal desiderio di strafare, come il pur ottimo Russo in versione Keyser Söze) e che non c’erano o erano diversamente – o appena – accennati nell’originale teatrale.

La debolezza di questo Eravamo bambini è proprio nella regia, purtroppo, soprattutto degli attori, e nella costruzione finale delle scene, da quelle di raccordo a quelle nelle quali lo sguardo si allarga a comprendere diversi soggetti, in generale quelle nelle quali l’attenzione non sia catalizzata da un singolo personaggio o dramma. Quali che siano i motivi, poco tolgono alle qualità del regista (David di Donatello all’esordio con Cemento armato, merita ricordarlo, e poi dietro la macchina da presa per La donna per me, dopo aver vinto ogni premio come sceneggiatore, da Notte prima degli esami a La mafia uccide solo d’estate, Se Dio vuole ed Ex), al quale va parte del merito di aver optato per una fotografia dai toni cromatici molto elaborati, capaci di diventare elemento narrativo essi stessi, e di aver saputo regalare una nuova vita e un ruolo chiave a un personaggio più che secondario come quello di Peppino.

Intelligente l’arco affidato all’interpretazione di Giancarlo Commare (Skam Italia, Ancora più bello, Nuovo Olimpo), che arricchisce il film di una incertezza che altrimenti non avrebbe, sovrastata dal gioco narrativo del “puzzle emotivo e temporale” e dai più prevedibili esiti della storia di amicizia e “di vite spezzate” o “tragedia greca corale”. Come si è scelto di presentare questo Eravamo bambini, col rischio di indebolirne la forza suggerendo un po’ troppo dell’abisso che nasconde, e della debolezza, la solitudine, la colpa, che i personaggi scontano, incapaci – tutti, o quasi – di emendarsi da una dinamica di violenza e di morte apparentemente immutabile. A meno di sorprese. Che davvero, a tratti sembreranno poter arrivare da chiunque di essi, prima che la matassa si dipani e i ruoli si definiscano, nel bene e nel male.

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