Eureka, la recensione del film con Viggo Mortensen – Cannes 76

Ma il celebre attore è protagonista solo della prima parte di un film in/di continuo mutamento

Non è facile trovare nei nostri cinema un film come l’Eureka di Lisandro Alonso. Un film diverso da quelli ai quali la gran parte del nostro pubblico è abituata che trova il suo luogo naturale in una rassegna come quella dell’Un Certain Regard del Festival di Cannes 2023. E che vanta la presenza di due star come Viggo Mortensen e Chiara Mastroianni nel cast di sconosciuti assemblato dal regista e sceneggiatore argentino già noto per La libertad (2001) e l’ultimo Jauja (2014).

 

Dal Far West di Viggo Mortensen alla riserva di Lisandro Alonso

Sono loro i protagonisti del western iniziale in bianco e nero, nel quale vediamo il solitario Murphy arrivare nel più classico dei villaggi di frontiera proprio in un momento di grandi festeggiamenti. Tra cowboy ubriachi, gettati all’angolo della strada, e donne di piacere seminude che se la ridono con gli indiani locali, sono in pochi a prestargli attenzione, fino a che non si trova al cospetto della risoluta proprietaria del saloon interpretata dall’attrice francese di origine italiana.

La stessa che ritroviamo in panne in tutt’altra situazione, ben più reale di quella nella quale interpretava un ruolo, quella della riserva indiana di Pine Ridge – tra South Dakota e Nebraska – nella quale sono costretti a vivere Alaina e sua nipote Sadie. La prima, stanca del suo lavoro di agente di polizia, poco considerata e ancor meno gratificata, una sera decide di smettere di rispondere alla sua radio di servizio, l’altra, triste, stanca di guardare inutili western in bianco e nero in attesa del ritorno della zia e incapace di vedere sbocchi alla sua vita, decide di iniziare il viaggio a lungo promessole da suo nonno. Come jabiru, vola via, per portarci in un Sud America amazzonico, dove gli indigeni locali condividono i loro sogni, ma non tutti sembrano più felici.

Eureka: molte suggestioni, un difficile equilibrio

Dal western alla denuncia sociale, tra realismo e fascinazione onirica e surreale, il racconto di Alonso sfida in continuazione la pigrizia dello spettatore, costringendolo a cambiare le proprie coordinate e a creare una connessione tra i diversi personaggi in scena e le situazioni che vivono. Inizialmente più consuete, per quanto fittizie, poi via via sempre più surreali, o fantastiche.

L’incipit affidato a Viggo Mortensen vale da specchietto per (noi) allodole, per catturare e insieme spiazzare lo spettatore. Che non più distratto dallo schermo televisivo che proietta il film con l’attore e Chiara Mastroianni è costretto a condividere il senso di sradicamento e disperazione delle due donne, attraverso le quali percepiamo le condizioni di vita dei nativi nordamericani e dei loro discendenti in una riserva indiana.

Si parla di tutto e di niente, per far passare giornate tutte uguali, e per evitare di farsi domande più scomode, o più fondamentali. Ma esauriti i possibili palliativi, è inevitabile tornare alle origini per realizzare un cambio radicale. Quello nel quale il nonno accompagna la giovane Sadie, decisa a riscuotere la promessa fattale e volare via, dagli Stati Uniti alla foresta brasiliana solo per scoprire che l’Eden non esiste più.

Nella supposta civiltà e fuori di essa ci si rifugia nei sogni e si ricorre alla violenza per risolvere le minime controversie. La natura ci osserva, ci parla, inascoltata. E quanto dobbiamo apparire incomprensibili al jabiru che segue attentamente le nostre pene, i tentativi di fuga da noi stessi nella ricerca di un avvenire migliore che sembra accomunare tutti su questa Terra.

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RASSEGNA PANORAMICA
Mattia Pasquini
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