Fallen Leaves, recensione del film di Aki Kaurismäki – Cannes 76

Il regista finlandese più famoso torna a inseguire la Palma d'Oro

Foglie al vento

Risale a più di un quarto di secolo fa la prima volta di Aki Kaurismäki al Festival di Cannes, dove il suo Kuolleet Lehdet (il Fallen Leaves che prossimamente vedremo anche in Italia, distribuito da Lucky Red in associazione con Bim) concorre per la Palma d’Oro della 76° edizione dopo quattro precedenti, tra il Nuvole in viaggio del 1996 e l’ultimo Miracolo a Le Havre del 2011. Un grande ritorno per un vecchio amico, non sempre interessato a sperimentare un cinema nuovo e diverso, quanto piuttosto a raccontare le storie che ama e nel modo che amiamo. Senza per questo rinunciare a restare legato all’attualità, che permea tutta la storia, a partire dalle condizioni di lavoro del mondo in cui viviamo fino all’attenzione riservata alla guerra tra Russia e Ucraina che ancora infuria.

 

Fallen Leaves: L’amore e le foglie morte

Ansa e Holappa (Alma Pöysti, Jussi Vatanen) vivono a Helsinki, da soli. Lei impiegata in un supermercato, dal quale viene licenziata per aver permesso a dei senza tetto di mangiare il cibo destinato alla discarica, lui in un cantiere, dove però viene scoperto a bere sul lavoro, una notte i due si incontrano, per caso.

La speranza di trovare il vero amore li avvicina, per poi svanire tra numeri di telefono persi e l’impossibilità di riuscire a rintracciare la misteriosa Ansa. Quando l’esito della reciproca ricerca sembra ormai scontato, i due si ritrovano, salvo separarsi di nuovo a causa dei problemi di alcolismo di Holappa. L’ennesimo – e forse definitivo – ostacolo che una vita sempre più difficile sembra opporre a chi cerca la felicità.

La classe operaia nel Paradiso di Kaurismäki

Dopo Ombre nel paradiso (1986), Ariel (1988) e La fiammiferaia (1990), un ulteriore capitolo prolunga la cosiddetta trilogia della classe operaia di Aki Kaurismäki, che – come detto – conferma qui l’attenzione per quanti vivono ai margini del mondo che ci piace vedere. Un umanista gentile, tanto misurato quanto austero, soprattutto nelle scelte formali. La geometria, l’uso degli spazi, di colori netti ma non accesi e del silenzio sono quelle che da sempre caratterizzano il suo cinema, come anche le speranze e la lotta quotidiana della classe operaia.

Alla quale appartengono i due protagonisti, senza nome per quasi tutto il film e ostinatamente all’inseguimento di una speranza. Di un amore. Che li risarcisca di tutte le delusioni e i dolori accumulati. Una critica del capitalismo e una ricerca che il regista finlandese orchestra con i suoi tempi, scelte musicali oculate, costruendole intorno un contesto solo all’apparenza povero nel quale sono pochi – ma fondamentali – gli elementi di spicco.

Quelli che segnano l’avventura romantica dei suoi protagonisti, anche quelli secondari, e di  Kaurismäki stesso, che qui e lì si diverte a fare il sentimentale. Con le citazioni della prima volta di Superman, sulla copertina di Action Comics, e quelle cinematografiche di Il continente scomparso, Breve incontro e Il disprezzo (nelle locandine sullo sfondo), del Jarmusch di I morti non muoiono (il film scelto per il primo appuntamento di Ansa e Holappa) e per i riferimenti diretti a Il diario di un curato di campagna di Robert Bresson e al Bande à part di Jean-Luc Godard che chiudono uno dei tanti dialoghi surreali e divertenti di cui è fatto Fallen Leaves.

Che ogni tanto ci riporta alla realtà, soprattutto con le notizie che sentiamo alla radio – in tutte le case, dove nessuno ha la televisione, ma si usa il telefono a disco – e che raccontano l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. Un indizio evidente che il mondo che stiamo vedendo non è così lontano da poter essere affrontato con nostalgia, che il dramma non svanisce con i sorrisi e la dolcezza di una tragicommedia che sembrava perduta, ma che nonostante tutto c’è sempre spazio per l’amore, la redenzione, la felicità.

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