Final Portrait, recensione del film di Stanley Tucci

The Final Portrait

L’8 febbraio arriva nei cinema italiani Final Portrait, un biopic incentrato sulla vita del pittore e scultore Alberto Giacometti. A dirigere Stanley Tucci, qui al suo quinto film come regista.

 

Tucci è cresciuto nel clima artistico della propria famiglia (suo padre era insegnante d’arte) e ed è un grande estimatore delle opere di Giacometti. Una scelta non facile, quella di prendere spunto dalla vita di uno dei più controversi artisti del ‘900. È infatti difficile inserire Alberto Giacometti all’interno di una precisa corrente  artistica, e sebbene sia ormai universalmente noto (chi non conosce le sue sculture lunghissime e longilinee?), il biopic sceglie di raccontarne il temperamento artistico estremamente instabile.

Il film si concentra su un momento molto preciso della vita di Giacometti: quello in cui lo scrittore James Lord (Harmie Hammer) gli commissiona il proprio ritratto. La sceneggiatura, dello stesso Tucci, prende spunto proprio dalla biografia di Lord, e fa della cura dei dettagli il suo punto di forza.

Tutto è messo in scena meticolosamente, a partire dalla scelta dell’attore protagonista, un Geoffrey Rush in stato di grazie, la cui fisicità richiama moltissimo quella dell’artista. Rush ha svolto ricerche per circa due anni (il tempo per regista e produzione di trovare i soldi necessari per il film), nel tentativo di comprendere o quantomeno assimilare i propri atteggiamenti a quelli di Giacometti.

Final Portrait: Stanley Tucci presenta il film a Roma

Final PortraitNon deve essere stato facile riprodursi negli eccessi di ira, come in quelli di pathos, tipici del classico artista “dannato” della Parigi bohémien. Lo studio del pittore, fedelmente riprodotto, è il palcoscenico principale all’interno del quale si svolge l’azione, molto semplice eppure mai troppo statica o tediosa. I due attori principali, Rush e Hammer, si “sfidano” in un gioco di sguardi e primissimi piani, a suon di battute taglienti e imprecazioni (del nevrotico artista).

Anche il cast di contorno collabora a questa rappresentazione che pare teatrale: Tony Shalhoub – che interpreta Diego Giacometti, fratello meno in luce di Alberto (eppure anche egli scultore) e Sylvie Testud – che riveste i panni della moglie di Giacometti –  rendono perfettamente il senso di totale sottomissione eppure di amore incondizionato verso una persona tanto difficile e tormentata.

Tucci si riconferma un regista molto intimista, capace di indagare la dimensione più “interna” e personale dell’animo umano. Senza azzardare un giudizio, si limita a mettere in mostra i contrasti, le ambiguità, le luci e le ombre del suo protagonista, proprio come in un dipinto. Spesso mostrando una certa crudezza che non indulge mai però nel patetismo (si veda la particolare relazione di Giacometti con la moglie e con la sua musa/prostituta).

L’individualismo di Stanley Tucci costituisce però anche il suo tallone d’Achille, in quanto Final Portrait per quanto ottimamente confezionato, non è sicuramente un prodotto che incontrerà le grazie del grande pubblico, sempre e comunque Giudice incontrastato dei risultati al botteghino.

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