Paolo Cognetti, già noto per il successo letterario e cinematografico de Le otto montagne, approda per la prima volta dietro la macchina da presa con Fiore Mio. Questo documentario intimo e personale rappresenta un viaggio nei paesaggi e nei silenzi delle Alpi (in particolare sul Monte Rosa), luoghi che per l’autore sono non solo un’ambientazione, ma vere e proprie estensioni della sua anima. Un’opera che combina elementi di diario personale, riflessione ecologica e ricerca esistenziale, senza rimanere etichettata in un solo genere.
Fiore Mio nasce da un evento personale
Il film prende spunto da un evento particolare: la grande siccità di due anni fa che lasciò la casa dello scrittore, situata sulle montagne sopra Brusson, senza acqua. Questa esperienza spinge Cognetti a interrogarsi sul drammatico mutamento della natura circostante. Per trovare risposte, si mette in cammino insieme al fidato cane Laki e, per una parte del viaggio, con l’amico alpinista Remigio Vicquery, documentando le trasformazioni del Monte Rosa, un luogo maestoso e fragile, con la sua natura possente eppure soggetta al mutamento climatico.
L’esplorazione di sé attraverso la contemplazione in Fiore Mio
La narrazione si sviluppa come una riflessione visiva e meditativa. Il documentario non racconta un percorso alpino in senso tradizionale: Cognetti non esplora, ma osserva la natura perché l’esplorazione si svolge verso l’interno, l’interiorità, resa possibile attraverso la contemplazione di paesaggi esterni, distese mozzafiato, suoni di ruscelli che scorrono (o che dovrebbero farlo), soprattutto incontri umani che testimoniano la loro montagna e danno forma a un mosaico di pensieri e sensazioni. La fotografia di Ruben Impens cattura stambecchi, camosci e vedute montane con un’estetica suggestiva, sebbene la distanza tra lo spettatore e ciò che vede rimanga, talvolta, incolmata, facendo di lui a sua volta un contemplatore.
La testimonianza di chi ascolta e vive la montagna
Gli incontri lungo il cammino rappresentano momenti di dialogo con persone che hanno scelto di vivere in simbiosi con le montagne. Tra questi, spiccano le figure dei gestori dei rifugi del Monte Rosa: dall’Orestes Hütte, unico rifugio vegano delle Alpi, gestito da Arturo Squinobal e sua figlia Marta, al Mezzalama, dove la giovane Mia Tessarolo ha lasciato gli studi di antropologia per dedicarsi all’ospitalità, fino al Quintino Sella, dove un cuoco nepalese alterna le sue stagioni alpine al trekking sull’Himalaya. Questi personaggi non sono semplici narratori, ma testimoni viventi di un modo diverso di concepire la relazione tra uomo e natura.
Cognetti, tuttavia, non si limita a registrare storie o paesaggi: si interroga sul senso della vita, sul mistero dell’acqua che si sottrae e poi ritorna, e più in generale sul fragile equilibrio che regola il nostro rapporto con l’ambiente.
Un’occasione preziosa per avvicinarsi al suo mondo interiore
Per i tanti lettori e appassionati di Cognetti, Fiore Mio rappresenta un’occasione preziosa per avvicinarsi al suo mondo interiore. Il film non è solo un’esplorazione della montagna, ma anche un autoritratto che svela nuove sfumature del suo rapporto con la natura e con sé stesso.
Fiore Mio è un’opera che merita attenzione per la sua capacità di raccontare un legame profondo con la montagna. È un film “fuori norma” che mescola elementi di documentario, diario e inchiesta. E anche se non raggiunge sempre le vette emotive che si prefigge, resta un invito sincero a riflettere sul nostro posto nel mondo naturale, sulle sue fragilità e sulla necessità di viverlo con rispetto e armonia.
Fiore Mio
Sommario
Fiore Mio è un invito sincero a riflettere sul nostro posto nel mondo naturale, sulle sue fragilità e sulla necessità di viverlo con rispetto e armonia.