Harvest: recensione del film di Athina Rachel Tsangari – Venezia 81

La regista mette in scena una storia attuale sull'importanza di preservare il terreno e le comunità agricole nonostante il progresso industriale

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Il cambiamento è essenziale tanto quanto preservare le proprie radici. Se il progresso è necessario per l’evoluzione di una società, deve però essere consapevole e funzionale, altrimenti si rischia di perdere tutto. Questo concetto è stato ben compreso da Jim Crace, autore di Harvest, il romanzo da cui Athina Rachel Tsangari ha tratto l’omonimo film, presentato in Concorso alla 81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Scritto dalla stessa regista insieme a Joslyn Barnes, la pellicola segna il ritorno al Lido di Caleb Landry Jones, già protagonista l’anno precedente nell’opera di Luc Besson, Dogman, candidato al Leone d’Oro. Questa volta, però, Jones non è solo: al suo fianco troviamo un altro volto noto, Harry Melling.

 

Harvest, la trama

Walter Thirsk è un uomo di città che ha scelto di trasferirsi in un villaggio rurale per lavorare la terra. Il tempo e il luogo in cui si muovono i personaggi sono volutamente indefiniti, conferendo alla narrazione un’aura di universalità. Ma l’arrivo di nuove figure, pronte a sconvolgere gli equilibri della comunità, innesca una serie di eventi che trasformano radicalmente il villaggio. Al vertice della comunità troviamo Padrone Kent, il proprietario del terreno su cui gli abitanti hanno costruito le loro vite e coltivato i loro raccolti. Questi cerca di mantenere l’armonia e di fornire le giuste direttive per preservare la stabilità del villaggio, tuttavia, l’arrivo di suo cugino Edmund, un uomo d’affari determinato a imporre leggi moderne, minaccia di cambiare per sempre la vita di tutti. Edmund rappresenta il volto di un progresso che, seppur apparentemente inevitabile, rischia di distruggere la coesione della comunità.

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Dentro una comunità agricola

Il nuovo lavoro di Tsangari si inserisce in un filone cinematografico dichiaratamente impegnato e di grande impegno. Harvest è intanto un’opera che costringe lo spettatore a confrontarsi con le questioni del presente e del futuro. Il film infatti esplora la relazione tra l’uomo e la terra, un legame profondo come il suolo fertile che per decenni ha nutrito l’umanità. Il villaggio rurale in cui ci trasporta la regista è un microcosmo agricolo, dove gli abitanti lavorano con dedizione per garantire la loro sopravvivenza e fornire beni ai nobili della città. Mantenere intatta questa dimensione primitiva, ricca di risorse naturali e autenticità, è cruciale per salvaguardare non solo il pianeta che ci ospita, ma anche la purezza delle comunità che vi abitano.

Con l’arrivo degli uomini d’affari intenzionati a imporre le loro leggi, Harvest denuncia l’abuso di potere e la modernità imposta alle popolazioni agricole. Ogni trasformazione deve essere guidata con criterio, senza sconvolgere equilibri che, un domani, potrebbero danneggiare tutti. Il film perciò affronta tematiche di grande attualità ma, pur avendo un intento nobile nel portare sullo schermo una storia di rilevante valore sociale e ambientale, fatica a coinvolgere pienamente il pubblico. Questo è dovuto principalmente a un ritmo narrativo eccessivamente lento e a una sceneggiatura che stenta a catturare l’attenzione. Tuttavia, va riconosciuta la qualità della fotografia, caratterizzata da una patina “sporca” e da colori intensi che conferiscono a ogni scena un aspetto pittorico. È questa cura visiva a rendere la visione più tollerabile e a rappresentare il vero punto di forza dell’opera.

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Sommario

Harvest denuncia l’abuso di potere e la modernità imposta alle popolazioni agricole. Ogni trasformazione deve essere guidata con criterio, senza sconvolgere equilibri che, un domani, potrebbero danneggiare tutti. Il film perciò affronta tematiche di grande attualità ma, pur avendo un intento nobile nel portare sullo schermo una storia di rilevante valore sociale e ambientale, fatica a coinvolgere pienamente il pubblico.

Valeria Maiolino
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano. Articolista su Edipress Srl, per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”.

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