Il matrimonio che vorrei: recensione del film con Meryl Streep

Il matrimonio che vorrei

David Frankel, il regista della pellicola, che rinnova così il sodalizio con Meryl Streep dopo Il diavolo veste Prada e la sceneggiatrice Vanessa Taylor con Il matrimonio che vorrei descrivono la vita di una coppia media americana di provincia che ad un certo punto della vita, ossia dopo che classicamente i ragazzi vanno via da casa per andare al collega, rimangono nuovamente da soli, affrontando la vita a due con 20 anni di più. I fisici, e si dibatte molto, soprattutto, per qualche strana ragione solo di quello invecchiato della moglie Kay e non certo di quello imbolsito di Arnold e del desiderio che nell’abitudine, si è appannato.

 

Ne Il matrimonio che vorrei Kay (Meryl Streep) e Arnold (Tommy Lee Jones) sono una coppia con alle spalle più di 30 anni di matrimonio. Per Arnold tutto scorre normale, mentre Kay sente che il loro rapporto si è inaridito e cerca un modo per ravvivarlo. In libreria, scopre e legge un libro del Dr. Feld (Steve Carell) e decide di affrontare una terapia di coppia presso di lui, cercando di convincere l’abitudinario marito a seguirla per una settimana nella cittadina portuale del Maine, Hope Springs. In quella settimana, molte cose cambieranno.

Il matrimonio che vorrei, il film

Il matrimonio che vorrei, in inglese Hope Springs, dal nome della cittadina dove si trova il terapeuta ma anche un gioco di parole sul significato: “la speranza salta fuori”, tratta di un tema parallelo a quello portato in scena a Cannes da uno dei più grandi cineasti degli ultimi venti anni, Michael Haneke, che con il suo Amour parla anch’egli di amore in tarda età. Ma essendo in questo caso un film europero, l’atmosfera è decisamente diversa e c’è un terapeuta di meno.

Potrebbe essere una commedia, ma alla fine il film viaggia molto tra questo genere e il dramma psicologico, ma ha come carta in più quella di mettere sullo schermo, o almeno minacciare di farlo, un tabù del cinema: il sesso tra persone anziane.

Meryl Streep, neanche a dirlo, è perfetta nell’impersonare una fragile, a tratti insopportabile ma determinata donna della middle class americana, ma è ben sorretta da Tommy Lee Jones, perfettamente calato nel ruolo del “grumpy” ma affettuoso, anche se con problemi di espressione del sentimento, marito Arnold. Chi è utilizzato ben al di sotto delle sue capacità e possibilità è Steve Carell, lo psicoterapeuta, inchiodato alla sedia dello studio e costretto a una serie di primi piani e piani d’ascolto. Il nostro avrà la sua rivincita solo alla vera fine del film, dopo i titoli di coda, una buona ragione per restare seduti in sala.

Il film cerca di portare in superficie quelli che sono i problemi naturali di una coppia che passata la terza decade insieme deve trovare un nuovo modo per interagire, riaffermare la propria relazione e continuare a stare insieme. Non si tratta solo di attività sessuale, ma anche di semplice sintonia, e forse, nella patria che per prima ha esportato il teorema che l’apparenza è tutto, un’accettazione del proprio cambiamento fisico e psicologico.

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