Io e Lulù

Io e Lulù è il film che suggella l’ingresso nel mondo della regia per Channing Tatum. L’attore quarantaduenne ha tratto ispirazione per la storia dalla sua vita personale. Aveva infatti un cane proprio di nome Lulù con il quale aveva stretto un rapporto strettissimo e dopo la cui morte ha deciso di farne un film per trasformarne il dolore della perdita.

 

La sceneggiatura è stata affidata a Reid Carolin, che ha anche supportato l’attore nella direzione del film, e che aveva già curato la sceneggiatura di un’altra pellicola in cui era comparso Tatum: Magic Mike di Steven Soderbergh. L’ispirazione sui dettagli della trama viene, tra l’altro, da un documentario che l’attore aveva prodotto nel 2017, War dog: a soldier’s best friend, diretto da Deborah Scranton.

La trama di Io e Lulù

La piccola Lulù del titolo, è una vivace cagnolina che viene da una vita di addestramento militare, tanto da essere stata la fedele compagna di missioni in Medio Oriente del sergente Nogales, finché questi non muore in un incidente d’auto. Al ranger Jackson Briggs (Channing Tatum), amico del defunto commilitone, spetterà il compito di accompagnare la cagnetta dal carattere ribelle al funerale del sergente, la cui presenza è tanto desiderata dalla famiglia di lui, per il profondo legame che il cane aveva instaurato nel tempo col suo padrone.

Così inizia un’avventura on the road lungo la costa del Pacifico, durante la quale il ranger dovrà affrontare continui e frustranti disagi causati da Lulù e dalla sua imprevedibilità, che lo condurranno, però, alla riconciliazione con i suoi mostri interiori, e con i traumi causati dalla guerra. Di cui, forse, anche il cane ha subito le conseguenze.

Un legame ancestrale

L’intenzione di Channing Tatum è quella di narrare un legame viscerale e quasi ancestrale come quello che riesce a crearsi tra uomo e animale, in particolare tra una persona e il suo cane. Il lavoro di addomesticamento, che arriva fino a rendere il dolce quadrupede un elemento della propria vita al pari di un familiare, è fatto dalla costruzione paziente di reciproca fiducia, che ha in sé qualcosa di misterioso.

Il film indaga i silenzi e gli sguardi a cui “manca la parola” – come si suol dire riferendosi alla chiarezza di certe espressioni che il cane sembra assumere –, approfondisce e cerca di soffermarsi sull’appagamento provato dal ranger Briggs nel trovare una crescente corrispondenza nelle risposte comportamentali di Lulù.

È chiaro, insomma, e comprensibile che voglia essere una dichiarazione di amore incondizionato, al pari di quello che il cane dà gratuitamente all’uomo, ma nello scorrere del viaggio dei protagonisti c’è qualche cosa che sfugge.

Channing Tatum sembra essere così intimamente coinvolto nel trasporre i propri sentimenti, che appare sfuggente e quasi distratto nel raccontare le tappe del percorso e i relativi canonici incontri lungo la via.

Io e Lulù mostra rapidamente le persone incrociate per caso durante i giorni del viaggio, col risultato che quei tipici elementi del road movie risultano frettolosi e l’effetto è paradossalmente freddo e distaccato.

Così, se è vero che il rapporto tra il ranger e la cagnolina cambia tonalità, pare che il merito sia solo dovuto alla convivenza forzata, più che a una reale evoluzione del protagonista. Quasi che sia stato unicamente il temporaneo bisogno di affetto e cure ad aver messo il protagonista nella condizione di relazione col cane, rendendo dunque il quadrupede oggetto di attenzioni non necessarie e vagamente umanizzate.

Ad ogni modo, di cinematografia se n’è sprecata intorno all’affetto nei confronti degli amici a quattro zampe, e sicuramente Io e Lulù non è da meno. In fondo fa quello che probabilmente aveva preventivato solo marginalmente: suscitare molta dolcezza, con toni di accennata inquietudine per il contesto ferito e solitario della guerra a cui fa riferimento.

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