Just Like a Woman: recensione del film con Sienna Miller

Con Just like a woman, il 3 volte Premio Oscar Rachid Bouchareb firma un road movie che vorrebbe riecheggiare – certo alla lontana – il fortunato Thelma & Louise di Ridley Scott (1991), re-inserendo il tema della fuga in una cornice di analisi sociale dove l’incontro tra culture diverse (leitmotiv della storia) è esaltato come fonte di arricchimento personale. In Just Like a Woman nella grigia periferia di Chicago, Marylin (Sienna Miller) e Mona (l’ottima Golshifteh Farahani) conducono vite diverse ma ugualmente frustranti: la prima, centralinista con una passione per la danza del ventre, è sposata da 10 anni con il nullafacente e disoccupato Harvey. L’altra lavora nel piccolo alimentari di famiglia, oppressa dalla suocera per non essere riuscita a dare un figlio al marito, che però ama ricambiata.

 

Un giorno Marylin perde il lavoro e contemporaneamente scopre che Harvey la tradisce: incoraggiata dall’insegnante di ballo, decide di mollare tutto per partecipare a un’audizione di danza del ventre che si tiene a Santa Fe. Incontrerà per la strada Mona, anch’essa scappata di casa in seguito a un grave incidente domestico. A bordo della decappottabile di Marylin, le due donne inizieranno un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti, facendo tappa in bar e locali vari per esibirsi ai ritmi sensuali della danza orientale. Un elemento che però, a ben vedere, resta solo un accenno, mal supportato da dialoghi poco incisivi. Convincono invece i momenti puramente intimistici e l’evoluzione del rapporto d’amicizia che unisce le due ragazze, avvicinate dalla comune passione per la danza ma anche e soprattutto da una disperazione che è al contempo voglia di riscatto personale.

Just like a woman, sensualità e passione

Just Like a Woman

A tenere le redini del gioco è evidentemente la combattiva Marylin, che instaurerà una forma di protezione nei confronti della semi-sprovveduta Mona, affacciatasi per la prima volta alla vita proprio grazie al peregrinaggio intrapreso con la compagna. Il tutto immerso in un paesaggio rurale ripreso in maniera accattivante, specchio di quella rinascita tanto ricercata dalle protagoniste ma, a tratti, metafora della loro profonda solitudine.

Le figure maschili – fatta eccezione per l’indiano che aiuterà Marylin nella parte finale – sono generalmente permeate di un alone negativo e privo di speranza (da Harvey allo stesso marito di Mona, passando per i due bifolchi razzistoidi incontrati nella riserva). L’emancipazione ed il miglioramento sono possibilità evidentemente precluse al loro universo, qui raffigurato nella sua grettezza, ignoranza o completa inettitudine. Buona la colonna sonora, in cui le musiche originali firmate da Eric Neveux accompagnano l’avanzare confuso delle giovani. Prodotto dalla Minerva Pictures insieme ad Arte France, Just like a woman sarà nelle nostre sale il 7 marzo.

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Ilaria Tabet
Laureata alla specialistica Dams di RomaTre in "Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi", ho frequentato il Master di giornalismo della Fondazione Internazionale Lelio Basso. Successivamente, ho svolto uno stage presso la redazione del quotidiano "Il Riformista" (con il quale collaboro saltuariamente), nel settore cultura e spettacolo. Scrivere è la mia passione, oltre al cinema, mi interesso soprattutto di letteratura, teatro e musica, di cui scrivo anche attraverso il mio blog:  www.proveculturali.wordpress.com. Alcuni dei miei film preferiti: "Hollywood party", "Schindler's list", "Non ci resta che piangere", "Il Postino", "Cyrano de Bergerac", "Amadeus"...ma l'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto!