Con il successo agli Oscar di Parasite di Bong Joon Ho, si è aperta una porta nella percezione internazionale del cinema sudcoreano nel 2020. L’industria cinematografica coreana è una delle più produttive, creative e artisticamente sofisticate della regione asiatica ma, solo negli ultimi anni, il cinema sudcoreano, con il suo intero spettro, è entrato nella coscienza cinematografica globale. La cinematografia coreana deve la sua diversità non solo a un sistema di finanziamento statale, ma anche alla vivace dissoluzione dei confini tra cultura d’autore e cultura pop. La nuova produzione coreana di Netflix Kill Boksoon, presentata in anteprima alla Berlinale di quest’anno, ne è il miglior esempio.

 

Kill Boksoon, la trama: un duplice conflitto

Con Kill Boksoon, Byun Sung-hyun crea un mondo in cui gli omicidi su commissione assumono i connotati dello spettacolo e la violenza diventa arte. Gil Boksoon (Jeon Do-yeon), la protagonista di questo thriller sudcoreano, non è affatto ingenua o sconsiderata: è una killer provetta, impiegata da un’agenzia che fa fare il lavoro sporco ai suoi clienti, fino a quando, come di consueto per queste storie, accade l’inevitabile: la posizione di rilievo di Boksoon si sgretola.

La trama di Kill Boksoon intreccia conflitti privati e strutturali, che concernono un sistema lavorativo più vasto, partendo dalla protagonista che ci viene mostata come un personaggio dai tratti ruvidi che lotta con il doppio ruolo che è costretta a interpretare, quello di madre e assassina. Mentre siede con amici davanti a un caffè, li sente parlare dei loro figli e delle vacanze. Gil è fisicamente presente, ma la sua mente va altrove. Pensa ai suoi “viaggi” di lavoro e la prima associazione che fa è quella di una gola tagliata: non esattamente l’epitome di mamma modello.

Gil è una dei migliori killer dell’Agenzia MK, una società di omicidi su commissione che tiene assemblee annuali e, in stile Hogwarts, alleva le nuove generazioni nella propria università. A casa, tuttavia, Gil sta combattendo su un fronte completamente diverso. La figlia quindicenne Jae-young (Kim Si-A), che non sa nulla della vita professionale segreta della madre, è sempre più restia ad aprirsi al dialogo con questa. Per quanto Gil sia brava a prevedere le azioni dei suoi avversari, le sue abilità vengono meno con la figlia. Anche la ragazza ha i suoi segreti: è innamorata di una compagna di scuola e le bullette della classe minacciano di rendere pubblica questa relazione. Quando Gil manifesta la sua intenzione di non volere più rinnovare il suo contratto all’agenzia per potersi occupare di più della figlia, i suoi colleghi rimangono sconvolti.

Una scena di Kill Boksoon

Da mamma ad assassina provetta

Il conflitto generazionale che si sviluppa con la figlia di Boksoon, Jae-young, si dipana con intelligenza, poichè eleva il conflitto sul tema della violenza a un livello superiore. Byun Sung-hyun utilizza l’ambiente della mafia e dei gangster per raccontare un sistema sociale che vive del mangiare e dell’essere mangiato: o si impara ad adottare uno stile di vita violento per sapersi difendere, o si finisce nella gabbia dei predatori. Quando la figlia di Boksoon entra in contatto con questi meccanismi già nella vita scolastica di tutti i giorni, la situazione diventa esplosiva e, in questo senso, la messa in scena diventa ancora più funzionale per delineare questo duplice conflitto, lotte di potere e di dominio e al contempo personali. La violenza diventa una danza espressiva in Kill Boksoon, con influenze da grandi film action recenti quali The Raid e l’indonesiano The Night Comes For Us.

Con ingegno e molta attenzione ai dettagli, il regista e sceneggiatore Byun Sung-hyun mette a punto una classica storia di genere, particolarmente convincente con le sue sequenze di combattimento mozzafiato ed estetizzate. Dalla metà del film, il rapporto madre-figlia diventa sempre più centrale e determina le dinamiche contrastanti della narrazione. Assolutamente convincente e con garbata ironia, la protagonista Jeon Do-yeon disegna il suo personaggio, che si fa strada in un ambiente professionale dominato dagli uomini tra l’abile omicidio e il sovraccarico emotivo che l’essere madre comporta.

Il regista Byun Sung-hyun riesce a cogliere il conflitto emotivo della madre al meglio, non avvicinando il mondo degli assassini su commissione a un modello reale, ma delineandone i confini di un mondo opulento e colorato. Gli assassini professionisti seguono programmi scolastici e universitari; completano la loro formazione per essere distribuiti in aziende più o meno prestigiose. Quelli che raggiungono il livello A lavorano per le più grandi catene; quelli che non se la passano bene devono guadagnarsi da vivere come piccoli imprenditori freelance. I datori di lavoro si riuniscono regolarmente per una sorta di congresso, mentre i dipendenti si scambiano idee in compagnia al tavolo degli habitué.

Kill Boksoon Netflix

Un viaggio di formazione per madre e figlia

Il contraltare di tutto questo per Boksoon sono le preoccupazioni della figlia: le serate di ritrovo dei genitori, i colloqui con il preside e lo scontro verbale con l’adolescente che sta appena scoprendo la sua sessualità e la vulnerabilità che ne deriva. Effettivamente, tutto ciò a cui deve andare incontro la figlia nella sua quotidianità liceale ha conseguenze ben più gravi della somma di tutti gli omicidi su commissione che la madre compie nel frattempo.

La componente drammatica insita nel percorso di formazione della figlia ha un peso affettivo di gran lunga maggiore in uno spazio molto più ridotto rispetto all’azione omicida della madre, che è leggera e ironica per sua stessa natura. Infatti, la produzione di Byun Sung-hyun dà il meglio di sé quando i piccoli atti di violenza del mondo della figlia vengono accostati alle scappatelle comiche ed emotivamente insignificanti della vita professionale della madre, sconvolgendo l’equilibrio di entrambi i mondi.

Nei momenti cruciali, molto dipende da Jeon Do-yeon, che qui, come in tutta la sua carriera, viaggia senza sforzo tra i generi, passando con disinvoltura dall’omicidio d’arte alle difficoltà dell’essere madre, e rendendo visibile l’enorme sforzo che questo comporta per il suo personaggio. Di ritorno da una lotta mortale in un bar, si dirige con calma e trionfo verso la sua auto, osservata dai sopravvissuti. Quando la porta si chiude, Gil Boksoon è solo la madre ferita che non riesce a lavare il sangue dei suoi avversari dalle sue unghie, e il lavoro e la vita sono in equilibrio.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Agnese Albertini
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