L’inganno: recensione del film di Sofia Coppola

L'inganno

A distanza di quattro anni da The Bling Ring, Sofia Coppola torna dietro la macchina da presa con un richiamo alle origini con L’inganno. Come fu per la sua Opera Prima (Il Giardino delle Vergini Suicide, 1999), la regista trae nuovamente spunto dalla letteratura, e segnatamente dal romanzo The Beguiled (intitolato anche A painted Devil) di Thomas Cullinan, edito nel 1966. A farle da controcanto però stavolta, trova un precedente di tutto rispetto: quel La Notte Brava del Soldato Jonathan di Don Siegel (1971) che portava sullo schermo nientepopodimeno che la presenza di un Clint Eastwood d’annata.

 

Siamo nel pieno della Guerra Civile americana. In una Virginia ormai presa d’assalto dalle truppe Nordiste, solo la magione di Miss Martha (Nicole Kidman) sopravvive – a stento – nella campagna rurale. La villa è abitata da poche donne – due istitutrici e cinque alunne – uniche volenterose sopravvissute all’esodo di massa dei sudisti verso territori più pacifici. La vita delle fanciulle è però scombussolata dall’entrata in scena di un soldato nordista ferito, il Caporale John McBurney (Colin Farrell), che chiede loro asilo e assistenza medica. Col passare del tempo la presenza maschile porterà a galla i desideri sessuali sopiti delle donne più adulte, mettendole per forza di cose l’una contro l’altra. Sino al precipitare degli eventi finale.

L’inganno, il film

Sofia Coppola vince con questo film il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes 2017, dimostrando – se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – di non essere solo una figlia d’arte (e autoproducendosi per la prima volta senza l’aiuto di papà Francis).

La regista svolge il suo lavoro con maestria, muovendo poco la macchina da presa come suo uso, e soffermandosi sui campi lunghi che preludono alle scene migliori.Tuttavia il difetto maggiore di questa pellicola risiede proprio nel suo essere un esercizio di stile “perfettino”. Pare che Sofia abbia fatto prendere lezioni di etichetta a tutte le protagoniste del suo film, affinché assumessero i tratti distintivi di una “vera fanciulla del Sud”. Etichetta che la stessa Coppola sembra applicare pedissequamente al suo film, e che per questo però pecca di coraggio.

La storia non azzarda abbastanza, tralasciando (volutamente o meno) tematiche spinose come la (quasi)pedofilia, la sessualità femminile e la tortura. Quel gioco “al dottore e all’ammalato” su cui ci si sofferma in diverse scene, avrebbe potuto dare l’imput per narrare un qualcosa di diverso. Invece si ha come l’impressione di trovarsi dinnanzi ad un’opera Incompiuta: un Misery Non Deve Morire senza l’infermiera psicopatica; un The Others senza fantasmi; un Via Col Vento senza Rhett.

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