La donna della mia vita: recensione del film

La donna della mia vita

Una commedia solitamente regge la sua struttura su i suoi personaggi. Se nell’epoca classica erano le maschere a identificarli, e gli stereotipi  poi adottati dalla commedia dell’arte, oggigiorno sono anche gli attori a fare da pilastro. Certo quando Cristina Comencini ha deciso di scrivere un soggetto esclusivamente adattato per Luca Argentero e Alessandro Gassman, avrà pensato a ciò che dei due l’avrà colpita in apparenza: il bravo ragazzo e, come si è definito ironicamente lo stesso Gassman in conferenza stampa, il “fio de na mignotta”. Da qui nasce La donna della mia vita, dove vediamo due fratelli, che sembrano combinarsi come lo ying e lo yang, contendersi la stessa donna, ovvero la bella Valentina Lodovini. Leo incontra finalmente la donna che crede essere quella della sua vita, dopo una storia sbagliata dove aveva tentato il suicidio ( con le pillole per la menopausa della madre). Ma Sara è anche l’ex amante del fratello “stronzo”. La chiave del gioco starà nel capire quale delle due storie sia quella sbagliata, quella attraverso la quale finalmente Sara troverà finalmente l’uomo giusto.

 

E fin qui la commedia ci sta. Il guaio però a volte è scegliere l’attore, ricamarci sopra il personaggio e poi lasciare tenere le redini ad un regista dalle mani poco virili. Così Luca Argentero, che nel film è il fratellino buono e gentile, che si pigliava sempre le botte da piccolo, fa sfoggio soltanto di espressioni ebeti e poco convincenti, che magari su un palcoscenico teatrale non avrebbero stonato, ma sullo schermo sì.

La donna della mia vita

Il suo personaggio poi subisce un’evoluzione quasi repentina, dove poco ci si sofferma sul cambiamento interiore, e lo vediamo soltanto passare dalla figura di un perdente a quella di un donnaiolo, sempre con la coscienza e la consapevolezza di un ragazzino di quindici anni. Se la cava sicuramente meglio Gassman, il cui ruolo è quello del fratello medico quarantenne piuttosto piacente, che tradisce la moglie con disinvoltura. Anche il suo personaggio evolve, ma non si lascia trasportare dal cambio di espressione, la sua è una trasformazione più lenta e forse più matura.

Al centro di tutto, oltre ad esserci Valentina Lodovini, nel ruolo di Sara, fidanzata ed ex-amante, c’è la madre Alba. E che madre. Perché per questo ruolo la Comencini ha voluto Stefania Sandrelli, che incarna il ruolo di moglie e madre piuttosto invadente. Una donna che nella vita ha fatto di tutto per i propri figli, che ha avuto da due diversi mariti. Il suo secondo e attuale marito, interpretato da Giorgio Colangeli, spicca forse più degli altri personaggi, regalandoci una comicità cinica e discreta.

Peccato davvero per la regia, Luca Lucini (Tre metri sopra il cielo, Bianco e Nero, Oggi Sposi) come ha ricordato poi in conferenza stampa, ha voluto essere il “meno invadente possibile”. Fatto che per un regista è piuttosto raro, a meno che appunto non si voglia lasciare troppo spazio agli attori sulla scena, o a meno che lo stesso regista sia in realtà privo delle giuste qualità e di un minimo di savoir faire. Le inquadrature sono fisse, con angolature che non variano molto e anche le luci non assumo tagli particolari.

Le musiche affidate a Giuliano Taviani e Carmelo Travia, variano molto e creano in maniera coerente le atmosfere di sottofondo delle scene. Sono stati ideate infatti tre diverse arie per sottolineare i tre personaggi principali: la madre e i due figli.Le musiche sono state  poi eseguite dall’orchestra sinfonica di Praga. La sceneggiatura, così intricata nell’esposizione delle relazioni di questa famiglia è ben scritta, i personaggi sono definiti e alcuni dialoghi rivelano un certo sottile umorismo. Non si distacca però dall’essere un’ordinaria commedia della borghesia milanese, moderna sì ma non troppo.

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