Lasciati andare: recensione del film con Toni Servillo

Lasciati andare

Arriva al cinema il 13 Aprile Lasciati andare, il nuovo film con Toni Servillo e Luca Marinelli, diretto da Francesco Amato.

 

In Lasciati andare Elia Venezia (Toni Servillo) è uno psicanalista, un intellettuale serio, distaccato e dal sarcasmo pungente. È annoiato dal mestiere e tratta i pazienti con indifferenza. Pigro e indolente, alla mondanità preferisce divano e tv. Una sera a settimana, però, va a teatro con l’ex moglie Giovanna (Carla Signoris). Sono separati in casa, un po’ per comodità, un po’ perché lui vorrebbe ancora riconquistarla. Unica passione cui si abbandona spesso e volentieri sono i dolci, che mangia in quantità. Quando accusa un piccolo malore, il suo medico lo invita a rimettersi in forma per evitare problemi più seri. Costretto a frequentare una palestra, incontra Claudia (Verónica Echegui), un’estroversa ed eccentrica personal trainer, che lo aiuterà a rimettere in sesto il corpo e lo coinvolgerà nella sua vita piena di guai.

Il ritorno di Francesco Amato

Dopo Ma che ci faccio qui (2006) e Cosimo e Nicole (2011) il regista Francesco Amato torna al cinema con Lasciati andare, in sala dal 13 aprile, commedia brillante e coinvolgente sulla dicotomia mente/corpo. Amato si diverte a mettere in contatto mondi spesso chiusi e reciprocamente diffidenti: intellettuali convinti del primato assoluto della mente – chi più di un analista può esserlo? – e cultori del fisico. Riflette più in generale sull’abitudine a catalogare persone e comportamenti, chiudendosi ognuno nella propria categoria, senza mai cercare di scoprire l’altro, o di vivere aspetti propri che non rientrano esattamente nell’immagine che si ha di sé. Infatti, con disincantata ironia guarda anche alle comunità religiose, ebraica e cattolica, come alle varie correnti del pensiero pedagogico e psicanalitico – si veda la diatriba Freud/Montessori – spingendo mondi diversi a interagire, a riscoprire la curiosità, non prendendosi troppo sul serio.

Novità assoluta è Toni Servillo in veste comica, protagonista ideale, perfettamente a suo agio nei panni di Elia. L’attore, lontano dalle ineffabili maschere sorrentiniane, si tuffa nella commedia da attore completo qual è, non risparmiandosi e dosa con precisione le componenti del personaggio, rendendolo credibile nei momenti più comici, come nelle parentesi più riflessive, in un’interpretazione viva e spontanea, che assieme alla scrittura, evita il rischio di scivolare nella macchietta. Verónica Echegui è una buona figura femminile complementare, Carla Signoris bravissima nel ruolo della moglie delusa che riscopre la propria libertà.

La sceneggiatura di Lasciati Andare

Il film deve molto a Francesco Bruni (Scialla, Noi 4) – sceneggiatore con Amato e Davide Lantieri. La sua impronta è inconfondibile, sua è l’idea di partenza e quel protagonista, strappato all’indolenza e costretto ad agire, ricorda un po’ il Bruno di Scialla (Fabrizio Bentivoglio). Poi c’è il ritmo vivace e avvincente della trama. Dalla sequenza iniziale, folgorante e isolata, il cui filo narrativo viene ripreso solo nella seconda parte, alla descrizione di Elia, della sua vita monotona, delle sue scarse relazioni sociali, di vizi e manie che dicono di lui molto più di quanto vorrebbe far sapere, fino all’incontro con Claudia: prima scontro, poi nuovo equilibrio, turbato ancora dall’ingresso di Ettore (uno straordinario Luca Marinelli), squinternato galeotto, che ricollega la vicenda all’inizio e da il via alla parte più “action” del film.

C’è la volontà di giocare con gli stereotipi mettendoli in crisi (seppure si cede a qualche banalizzazione, in generale si è attenti alla plausibilità e non si cercano consolazioni facili). Anche i personaggi secondari sono delineati con cura, lasciando trasparire più di quanto si mostri, come nel caso della maestra Paola (Valentina Carnelutti), o dell’istruttore sportivo (Pietro Sermonti), o della spassosa galleria dei pazienti: il pavido (Carlo De Ruggieri), il calciatore (Giulio Beranek), l’ingegnere (Giacomo Poretti), non ininfluenti comprimari, ma interpreti efficaci e brillanti, la cui partecipazione arricchisce il film.

Il risultato è un’ora e quaranta di divertimento di qualità.

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