Mes petites amoureuses: recensione del film di Jean Eustache

Dopo La Maman et la Putain, arriva al cinema un altro film di Jean Eustache da riscoprire.

Mes Petites Amoureuses, Jean Eustache

Molto meno conosciuto del monumentale La maman et la putain, Mes petites amoureuses (1974) è il film forse più discreto di Jean Eustache, che arriva dopo cinquant’anni finalmente nelle sale italiane grazie ad I Wonder. Mes Petites Amoureuses è l’autobiografia di un regista che non ha avuto il tempo di crescere e che è già in una classe a sé stante. È il paradiso verde delle prime sensazioni erotiche che si accarezzano per dargli forma compiuta, e poi vengono ricostruite nel dolce imbarazzo di non volere ancora averle vissute. La singolarità dello sguardo di Eustache si rivela vincente: il regista rifiuta di tracciare una linea di demarcazione tra attori e persone reali, tra realtà e finzione – ha assunto per lo più giovani di Narbonne, scelti sul posto pochi giorni prima delle riprese – scelta esemplificativa della sua acuta preoccupazione per il realismo e la naturalezza.

Mes petites amoureuses, la trama: giochi proibiti

La trama del film segue le vicende di Daniel (Martin Loeb), un ragazzo che vive con la nonna e che è felice di iniziare il suo primo trimestre alla scuola secondaria. Purtroppo, i piani futuri della madre scombinano tutto: Daniel è costretto a andare a vivere con lei a Narbonne, dove diventa apprendista. Non sappiamo se sia un bravo studente; sappiamo solo che vorrebbe studiare ma non gli vengono dati i mezzi per farlo. Il risultato è una cronaca un po’ disillusa della nuova vita di un ragazzo disorientato e privo di riferimenti sociali ed emotivi. Oltre al “declino” accademico, ha una situazione familiare instabile (la madre vive con un uomo di cui abbiamo informazioni vaghe) e ha difficoltà ad assimilare i codici della seduzione adolescenziale. Come approcciare una ragazza, come fare conversazione con lei, come baciarla: sono tutte domande che tormentano Daniel, la cui sfera emotiva è ancora fragile.

In Mes petites amoureuses, Jean Eustache ritorna con la mente alla pre-adolescenza per studiare le origini del suo sguardo autoriale, partendo dall’ingresso nella pubertà di Daniel, processo innescato dal trasferimento forzato a Narbonne. L’abbandono del villaggio in cui è cresciuto e protetto dalla nonna, a favore di una vita in città con la madre e il suo fidanzato, rappresenta un piccolo trauma. La placida vita di Daniel viene sconvolta, ferendo la sua innocenza; il ragazzo vive in prima persona le difficoltà economiche che gravano sulla famiglia ed è costretto a lasciare la scuola per lavorare come apprendista meccanico. Il mestiere lo introduce precocemente al mondo degli adulti, di cui sperimenta la durezza e le amare lezioni della vita.

Mes petites amoureuses, una scena del film

Alla ricerca del tempo perduto

Questa retrospettiva messa a punto da Eustache prende la forma di sequenze aneddotiche che, punteggiate da dissolvenze, si rivelano momenti chiave della maturazione di Daniel. Queste ellissi frammentano la storia, catturando i meccanismi della memoria. I loro vuoti non abitano solo la trama, ma trovano manifestazione formale in inquadrature panoramiche incapaci di seguire il movimento del bambino, davanti al quale si fermano con cautela, per rispettare il mistero della giovinezza.

La freddezza del rapporto tra madre e figlio, incapace di fornire al bambino una casa soddisfacente e appagante, lo porta a diventare un precoce flâneur. Girovagando per le strade della città, Daniel sviluppa il piacere di osservare il mondo che lo circonda, che è molto più eccitante del suo stretto ecosistema. La sua fissazione per le scene d’amore ridimensiona il suo voyeurismo, rivelandolo come una silenziosa ricerca di affetto. Il desiderio amoroso permea tutte le immagini che il protagonista genera con la sua visione, orientando anche il nostro sguardo. Sebbene la preoccupazione tematica del giovane sia la donna, un tema necessariamente adulto, il suo approccio formale è distanziato e sobrio, tipico di un ragazzo cauto.

Uno sguardo impossibile sul mondo

Daniel guarda il mondo con gli occhi alla ricerca di un contorno che gli permetta di comprenderlo meglio, così come osserva il comportamento degli altri uomini per capire come funzionano le relazioni personali: nessuno, in casa, glielo può insegnare. La madre è distante e lo ha privato del legame con la nonna, mentre l’assenza di una figura paterna infesta il film in maniera spettrale.

I suoi sforzi per replicare ciò che vede sono frustrati e insoddisfacenti, c’è un divario incolmabile tra la rappresentazione e la vita. Daniel, come ogni romantico, scopre che l’oggetto del suo desiderio non è raggiungibile. Il vero piacere sta nell’abitare quell’amara distanza che lo separa da esso, mantenendosi nella posizione ideale per studiarlo con lo sguardo. Daniel è un potenziale regista, un professore che conosce nei dettagli la passione, ma è incapace di viverla. Questa impossibile dialettica tra la realtà e la sua rappresentazione è il segreto che Eustache ci affida, consapevole che l’esperienza filmica risiede nell’esercizio di questo rischioso funambolismo.

L’impotenza di esistere dell’adolescenza assume i contorni di una vita vegetativa che non ha bisogno di essere soddisfatta. Mes petites amoureuses è un ritratto di questa mancanza, di questo difetto iniziale e definitivo che plasma un artista. Non c’è sensualità, non c’è desiderio concesso a Daniel, solo il bisogno di vedere come funziona il mondo e se possiamo appartenervi. Tutto il film è costruito su questa infanzia senza età, ostinata, ruvida e vacua. Non c’è rischio che Daniel si comporti da adolescente: non è mai stato un bambino…

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