Palm Springs, la recensione del film con Andy Samberg #RFF15

Il film è stato presentato, in Italia, nell'ambito della Selezione Ufficiale della quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Palm Springs
Photo by Jessica Perez

Palm Springs non è certo il primo film che parla di loop temporali, eppure il modo in cui riesce a farlo è spiazzante, catartico e soprattutto originale. Come nella serie Russian Doll creata da Natasha Lyonne, Amy Poehler e Leslye Headland, parte dal presupposto che a rimanere incastrati nella ripetizione sono sempre personaggi emotivamente fermi e arrivati ad un bivio esistenziale, e indaga sulla vita attraverso il binomio morte-rinascita, risolvendosi nella necessità di contrastare il dolore della permanenza con i legami umani. Ciò che affligge i due protagonisti, Nyles (Andy Samberg) e Sarah (Cristin Milioti) infatti, non è tanto il rivivere la stessa giornata, quanto la paura di dover affrontare, prima o poi, i loro traumi, alla pari di Nadia Vulkov nello show di Netflix.

 

Il loop temporale diventa quindi un’opportunità, e non un ostacolo alla crescita: ecco il vero paradosso. E per come mette in scena questa riflessione, Palm Springs si dimostra essere una commedia profondamente e filosoficamente radicata nel mondo contemporaneo. Non serve un algoritmo della società o un’indagine statistica per affermare che, oggi, gran parte dei trentenni e limitrofi è insoddisfatta della sua vita sentimentale e della sua carriera, soffre di depressione o stress e, in generale, non trova motivi validi per guardare in avanti e si ostina a rimanere ferma nel presente (o nel passato). Appunto, come se fosse bloccata in un loop temporale.

Palm SpringsPalm Springs, una nuova versione del loop temporale

Si può pensare a Palm Springs nelle funzioni di opera-parodia dei vari Ricomincio da capo, Source Code e Edge of Tomorrow, oppure di dark comedy che abbraccia il malessere e il nichilismo ormai diffuso tra i millennials o, più semplicemente, di ultimo stadio della rom-com ai tempi della pandemia (anche se è stato girato nell’era pre-covid) sovvertendone perfino qualche crisma. Ma le mani e le idee di Andy Siara – sceneggiatore – Max Barbakow –  regista – sono così sicure da fugare ogni indecisione.

Il film allora prende allora le sembianze di una lunga terapia a sedute. Nyles e Sarah, non sul divano di una psicologa ma scaraventati in posti sempre diversi (un bar, una piscina, una tenda in mezzo al deserto), si aprono e quando lo fanno per davvero, le cose iniziano a smuoversi, a cambiare. In questo senso Palm Springs vuole ricordarci che non è affatto divertente rimanere intrappolati nello stesso loop temporale, che si può sopravvivere da soli ma insieme è decisamente meglio.

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