Quando, recensione del film di Walter Veltroni

quando recensione

Walter Veltroni torna dietro la macchina da presa con Quando, superando il decimo lungometraggio della sua carriera cinematografica, tra documentari e film di finzione. Questa volta traspone un suo stesso romanzo, poiché anche nel settore della narrativa ha un discreto elenco di lavori prodotti, tra gli ultimi: i tre libri con protagonista il commissario Buonvino.

 

Quando è il titolo del film e anche della storia scritta su carta nel 2017 e racconta la vicenda di un diciottenne che, durante il funerale di Enrico Berlinguer, prende una botta in testa dal bastone di una bandiera che gli cade addosso e finisce in coma per la bellezza di trentuno anni, risvegliandosi, quindi, quarantanovenne.

Quando, la trama

Il non più ragazzo Giovanni (Neri Marcorè) si desta, perciò, in ospedale accudito da suor Giulia (Valeria Solarino) che mentre tenta di fargli la barba gli dà la triste notizia: non soltanto è finita la sua adolescenza, ma anche la sua giovinezza. Naturalmente per il grave impatto che potrebbe causare al paziente, la suora viene rimproverata, ma si prende comunque a cuore il caso (che comunque era diventato già popolare a livello mediatico) e lo porta in una struttura perché si riabiliti lentamente ma completamente. E non solo dal punto di vista fisico.

Il film dell’ex Primo Ministro scorre balzellando rapidamente su tutti i passaggi del protagonista che potrebbero sembrare più ostici: nonostante l’ovvia atrofia muscolare di un uomo allettato per tre decenni, in pochissimo tempo qualche passeggiata si ottiene senza problemi, così come il trauma psicologico si liquida in qualche battuta durante gli esercizi di fisioterapia insieme all’operatore Mario (Massimiliano Bruno) e altrettanto è l’immediato risultato positivo di un paziente ricoverato insieme a lui che è affetto da mutismo selettivo (Fabrizio Ciavoni), ma che in un lampo risolve tutto una mattina durante la colazione.

Ciò che poi accadrà a Giovanni sarà il rientro alla vita com’è oggi, con sfilze infinite di ricordi che già sono tali, con sospiri e dolcezze, senza che abbia il men che minimo accenno di corto circuito mentale, ma solo qualche sorriso strappato per le gaffe sulle incongruenze storiche.

In Quando non c’è nulla che possa avvicinarsi alla credibilità di una vicenda narrata e costruita nella quale – magari – immergersi e scoprire cos’ha da dire. Come già accaduto sistematicamente nelle pellicole di Veltroni, la personalità del regista e narratore è l’unica cosa che si avverta in ogni singolo fotogramma del film, dove la destinazione di ogni sequenza è la rimembranza del suo mondo emotivo o, al più, lì dove ha deciso che il racconto debba andare.

Un tuffo nostalgico in un passato visto con occhi ingenui

Al di là della specificità della trama – in cui tra l’altro risuona sempre quella nostalgia canaglia del mondo politico che fu che, chiaramente, non sarebbe certo un problema di per sé – la sceneggiatura di Veltroni (scritta insieme a Doriana Leondeff e Simone Lenzi) semplifica e banalizza ogni evento, sbrigandosi a passare da una sequenza all’altra rendendo tutto prevedibile, scontato e purtroppo anche estremamente ingenuo. Perdendosi in una tenera autoreferenzialità, suscita sentimenti di condivisone e comprensione a chi quei tempi li ha vissuti e capisce bene di cos’è che si tratti. Ma il punto è che sembra di ascoltare uomini di mezza età scambiarsi i propri memoriali giovanili mentre sorridono complici, senza che ci sia la voglia di usare una prospettiva  dalla quale descrivere e parlare anche a chi in quegli anni non c’era e non può, perciò, avere emozioni a loro connesse.

Ma è chiaro che non ci sia alcun tipo d’intenzionalità da parte di Walter Veltroni. Si vede da ogni immagine quanto sia appassionato e, probabilmente, anche intimo il suo racconto. Peccato che sia la solita vecchia differenza tra ciò che si prova e il canale che si sceglie per comunicarlo. Che è poi quell’abissale distinzione tra intenzioni e risultato.

- Pubblicità -
RASSEGNA PANORAMICA
Samanta De Santis
Articolo precedenteI Migliori giorni dal 3 aprile in prima tv su Sky Cinema e NOW
Articolo successivoRiverdale 7, la final season deve dare a Cheryl e Toni l’happy ending
quando-walter-veltroniMa è chiaro che non ci sia alcun tipo d’intenzionalità da parte di Walter Veltroni. Si vede da ogni immagine quanto sia appassionato e, probabilmente, anche intimo il suo racconto. Peccato che sia la solita vecchia differenza tra ciò che si prova e il canale che si sceglie per comunicarlo. Che è poi quell’abissale distinzione tra intenzioni e risultato.