Re-Creation, recensione del film di Jim Sheridan -#RoFF20

Un legal-drama immaginato da Jim Sheridan e David Merriman sul caso irrisolto della morte di Sophie Toscan du Plantier: dodici giurati, nessuna verità certa, solo il peso delle decisioni.

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Presentato in concorso nella sezione Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma 2025, Re-Creation segna il ritorno di Jim Sheridan, sei volte candidato all’Oscar, autore di capolavori come Nel nome del padre e In America. Questa volta il regista irlandese, insieme al co-regista Merriman, si confronta con una storia vera – l’omicidio di Sophie Toscan du Plantier, avvenuto nel 1996 nella contea di Cork – e con l’enigma che per quasi trent’anni ha diviso l’opinione pubblica: la colpevolezza o l’innocenza del giornalista Ian Bailey, accusato in Francia ma mai estradato dall’Irlanda.

Sheridan e Merriman immaginano un processo che nella realtà non è mai avvenuto: dodici giurati si riuniscono per discutere il caso, riesaminando prove, testimonianze e contraddizioni. Sheridan stesso interpreta il giurato numero 1, trasformando la finzione giudiziaria in un esperimento morale, quasi teatrale, dove la verità si misura attraverso le coscienze dei personaggi più che con i documenti.

Re-Creation: la giuria come specchio dell’animo umano

Al centro del film si impone Vicky Krieps, giurato numero 8, unica voce dissonante nella prima votazione: quando tutti dichiarano Bailey colpevole, lei sussurra “I have a gut feeling”, un presentimento, una sensazione di pancia che incrina la certezza collettiva. È l’inizio di un percorso di confronto, in cui il dubbio diventa strumento di indagine e di empatia. Dall’altra parte del tavolo, il giurato numero 3, interpretato da John Connors, incarna la rigidità del pregiudizio: convinto della colpevolezza dell’imputato, si aggrappa ai fatti con ostinazione, incapace di separare il giudizio oggettivo dal proprio vissuto.

Attraverso il confronto tra i dodici, Sheridan e Merriman costruiscono una narrazione corale in cui ogni giurato, scavando nel caso, finisce per confrontarsi con i propri traumi, le proprie mancanze, le colpe irrisolte della propria vita. La ricostruzione del delitto si intreccia così con la ricostruzione dell’interiorità dei personaggi: giudicare Bailey diventa un modo per giudicare se stessi.

Crediti Rich Gilligan

Dalla cronaca alla riflessione etica

Re-Creation prende le mosse da un fatto di cronaca, ma la sua forza è nel trasformare il caso giudiziario in una riflessione sulla giustizia e sulla percezione della verità. Sheridan e Merriman mescolano linguaggio documentaristico e introspezione psicologica: le vere prove del caso – filmati, testimonianze, fotografie – vengono integrate nel racconto come materiale d’archivio, ma è l’umanità dei giurati a guidare la narrazione.

L’idea del “ricreare” non è solo un artificio narrativo, ma un atto di responsabilità civile: il tentativo di dare alla vittima, Sophie Toscan du Plantier, il processo che non ha mai avuto in Irlanda. In un’epoca in cui la giustizia sembra spesso piegata alle logiche mediatiche, Re-Creation riporta l’attenzione sul dubbio come fondamento della verità, mostrando come ogni sentenza sia anche un riflesso del nostro modo di vedere il mondo.

Co-regia e stile narrativo in Re-Creation

L’apporto di David Merriman come co-regista e co-sceneggiatore non è solo formale: insieme a Sheridan costruisce un linguaggio visivo che fonde teatro, cinema di camera e documentario. Lo spazio principale è la sala riunioni della giuria – poche scenografie, inquadrature concentrate sui volti, poca mobilità di macchina. Una claustrofobia controllata che restituisce il ritmo intenso delle deliberazioni. La scelta di co-direzione permette un equilibrio tra la voce autorale tradizionale di Sheridan e un tono più contemporaneo, quasi sperimentale, di Merriman: attori che portano la propria storia (come John Connors), momenti in cui la finzione si ferma e lascia posto alla testimonianza.

Questo mix si riflette anche nella struttura del film: la sequenza iniziale funge da “briefing” dei fatti, poi l’atto centrale è il dibattito – più teatrale che cinematografico – e finalizza con momenti di confessione, dubbi e decisioni che restano in sospeso. Il risultato è un film che più che raccontare mostra: mette lo spettatore al centro della stanza, lo invita a giudicare insieme ai giurati.

Crediti Rich Gilligan

Re-creation: una riflessione sulla colpa e sull’identità

Dietro l’apparato giudiziario, Re-Creation è un film profondamente umano. Ogni giurato porta con sé una ferita: la perdita, la violenza, il rimorso. Le discussioni diventano confessioni, e il processo si trasforma in un percorso di consapevolezza. Re-Creation suggerisce che la giustizia non è mai solo istituzionale, ma personale – un atto che richiede ascolto, empatia e il coraggio di cambiare idea.

Il personaggio di Ian Bailey (interpretato da Colm Meaney), mostrato poche volte e senza battute, rimane volutamente ambiguo. Era un giornalista ossessionato dal caso che lo rese celebre? Un manipolatore? O semplicemente un uomo travolto da un sistema incapace di distinguere la verità dal sospetto? Sheridan e Merriman lasciano la domanda aperta, ricordando che la giustizia, come il cinema, non è mai neutra.

Un ritorno maturo per Jim Sheridan

Con Re-Creation, Jim Sheridan firma uno dei suoi lavori più personali e ambiziosi. Dopo anni di silenzio, il regista torna alle sue radici: raccontare l’Irlanda, le sue ferite, le sue verità taciute. La presenza di Vicky Krieps aggiunge grazia e profondità a un film che vive di parole, di pause e di sguardi.

Re-Creation non è un film di certezze, ma di domande: sulla giustizia, sulla memoria, sull’essere umano. Sheridan e Merriman ricreano un processo, ma in realtà mettono sotto processo tutti noi – spettatori, giudici e testimoni di un mondo dove la verità, troppo spesso, resta un verdetto sospeso.

Re-Creation
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Sommario

Re-Creation non è un film di certezze, ma di domande: sulla giustizia, sulla memoria, sull’essere umano.

Camilla Tettoni
Camilla Tettoni
Romana, classe 1997, è laureata in Lettere Moderne all’Università di Siena e in Italianistica all’Università di Bologna, con lode. Ha conseguito un Master in International Journalism presso l’University of Stirling e un corso avanzato in Geopolitica presso la Scuola di Limes. Appassionata di cinema, dal 2025 collabora con Cinefilos.it con recensioni e approfondimenti cinematografici, affiancando attività di critica culturale e pubblicazioni su riviste italiane e internazionali.

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