Yokohama. 1963. Sullo sfondo un Giappone che comincia a riprendersi dalla sconfitta della Seconda Guerra Mondiale e che si prepara ad un futuro di crescita economica, in primo piano la storia d’amore tra Umi e Shirou, due adolescenti che rappresentano, come una metafora, la tradizione e l’innovazione che si fondono per entrare in una nuova era.

 

Si può riassumere così la trama del secondo lungometraggio firmato Miyazaki: la Collina dei Papaveri.

Umi è una ragazza semplice, orfana di padre e con una madre assente, che si trova a dover gestire una grande casa-convitto sulla collina che sovrasta la città. Shirou, al contrario, è un attivista, che si batte perché nella crescita economica del Paese non vengano persi i valori del popolo giapponese e perché crede nelle persone e non nel potere del denaro.

I due si incontrano a scuola e, da lontani e indifferenti, diventano amici prima e alleati poi. L’obiettivo di Shirou, la lotta per non far demolire il Quartier Latin, un edificio gestito dagli studenti in cui ci si incontra, si studia e si dibatte, diventa la battaglia di entrambi. E ognuno con le proprie armi, parole e dimostrazioni lui, spazzolone e paziente calma lei, condurrà fino in fondo una sfida destinata ad essere vinta.

Goro Miyazaki, figlio del più celebre Hayao Miyazaki (che firma comunque la sceneggiatura), porta sullo schermo un film d’animazione a metà tra la propria esperienza di vita e l’analisi storica di un periodo. Analisi che il regista conduce non solo attraverso le immagini di una città in rapido mutamento, ma soprattutto attraverso il cambiamento dei legami sociali tra diversi mondi: il vecchio che diventa nuovo, il femminile che incontra il maschile.

Purtroppo, però, la scelta di aderire alla realtà come un guanto, di soffermarsi sul passato dei due ragazzi con una trovata riguardante la loro nascita che, come afferma Shirou in una battuta, è degna di un film di terz’ordine e la mancanza di quell’efficacia visiva propria dello Studio Ghibli, fanno de La Collina dei Papaveri un film sostanzialmente piatto.

L’azione viene sacrificata per il messaggio, che in molte occasioni langue, e la metafora dei ragazzi innamorati, sembra, per com’è gestita, decisamente scontata. Al contrario, la città che cambia, il traffico crescente e la nuova era industriale sono rese perfettamente: i fumi colorati che salgono in cielo dalle ciminiere, la coda di veicoli che ostacola il passaggio nelle strade, l’inquinamento fatto di volute di fumo che avvolgono i protagonisti, sono talmente tangibili che fanno sentire lo spettatore parte di quel processo di sconvolgimento urbano che ha investito il Giappone all’inizio degli anni ’60.

La Collina dei Papaveri, presentato al Festival di Roma nel 2011, sarà nelle sale italiane il 6 novembre 2012 per un’unica giornata. Un evento da non perdere per gli amanti del genere (a cui si consiglia di cercare al più presto la sala più vicina!)

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