Promised Land: recensione del film di Gus Van Sant

Promise Land

Promised Land è l’ultimo film girato da Gus Van Sant basato su una sceneggiatura scritta a quattro mani da due dei protagonisti del film: Matt Damon John Krasinski. Inizialmente sarebbe dovuto essere lo stesso Damon a occuparsi della regia ma per impegni inconciliabili fu proprio lui a chiedere ed ottenere il “sì” del regista che lo rese celebre anni fa con Will Hunting – genio ribelle, meraviglioso precedente che lo lega a Van Sant.

 

Promised Land è un film completo ed estremamente piacevole il quale con sincerità, onestà, serietà e al contempo ironia è capace di raccontare una storia intensa con personaggi ben delineati in grado di far riflettere e insieme divertire lo spettatore.

Tutto il film e la sua sceneggiatura sono percorse da un fil rouge che ci conduce sino alle ultime sequenze, ossia una contrapposizione di base, una sorta di partita a due tra ideale ed interesse, tra ciò che sarebbe più utile a ciò che sarebbe più giusto. Quanto le difficoltà, i problemi della vita reale e di un presente tanto difficile possono giustificare il vendersi al miglior offerente anche a costo di rinunciare al proprio passato, alle proprie tradizioni e quindi ad una parte di noi stessi? In realtà ogni personaggio del film è posto di fronte a questo dilemma tra idealismo e materialismo pratico, chi in un modo e chi in un altro, indifferentemente da che parte giochi la sua partita con la vita. Steve/Damon è inizialmente convinto di essere dalla parte della ragione; lui, cresciuto in una piccola provincia rurale simile a McKinley, sa bene a cosa possa portare il chiudersi al futuro, alle opportunità che il grande capitale può offrire.

Promised Land, il film

Promised Land

Con il trascorrere dei giorni però qualcosa si incrina, la conoscenza più approfondita di quelle persone umili ma oneste, di una realtà che forse aveva dimenticato, la delicata quanto pulita infatuazione per una giovane maestra del luogo, Alice (Rosemary Dewitt), accrescono in lui dubbi e perplessità su ciò che è e su ciò che fa. Al contrario dell’inquieto e tormentato collega, Sue, interpretata da una sempre straordinaria Francis McDormand, vive il suo cinico lavoro come un mestiere qualsiasi, proteggendosi e parandosi dietro ad un imperturbabile pragmatismo che le impedisce di cadere in una qualsiasi crisi di coscienza. Ma la bellezza del film risiede nella sua capacità di presentarci tutti gli aspetti della questione senza dipingere dei “buoni” o dei “cattivi” ma soltanto i tanti punti di vista da cui può essere inquadrato il medesimo problema.

Paesaggi meravigliosi, girati in esterna nelle incantevoli e verdeggianti campagne della Pennsilvanya, favoriscono una splendida fotografia aiutata da una luce quasi sempre naturale; musiche appropriate ad ogni singola sequenza a cui si ispirano ed una serie di interpretazioni maiuscole sulle quali spicca quella, oltre della già citata McDormand, di un intenso quanto mirabile Hal Holbrook. Questi oltre ad una regia sapiente e mai banale, sono gli elementi che sostengono ed innalzano oltremodo una sceneggiatura già di per se solida e ben strutturata.

Promised Land è un film che merita di essere visto perché per 106 minuti tiene lo spettatore incollato allo schermo invitandolo a riflettere e a guardarsi dentro chiedendosi se il danaro possa veramente comprare tutto, anche la dignità. Al cinema dal 14 febbraio.

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