Sì, Chef!, la recensione del film di Louis Julien-Petit

Arriva in sala La Brigade di Louis Julien-Petit, basato su una storia vera

Sì, Chef! recensione

Abbiamo da poco visto il The Menu di Mark Mylod nel quale la cucina veniva rappresentata come un vero e proprio inferno sulla Terra, qualcosa che ricorda i tanti cooking show tanto di moda da anni e decisamente più intrigante di altre che si vedono spesso. Come quella che anche il francese Louis-Julien Petit sceglie per il suo Sì, Chef! – La Brigade, nei cinema italiani dal 7 dicembre con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

 

Le tensioni che si sviluppano in un ristorante, le sfide che pone, la necessità di adattarsi, integrarsi o crescere per superarle forniscono spesso espedienti narrativi a film, italiani o internazionali, che vogliamo raccontare storie edificanti. O socialmente utili. Come nel caso del regista in questione, non nuovo a queste ‘missioni’. E che dopo il Discount del 2014, dove delle casse automatiche minacciavano l’impiego dei dipendenti, il Carole Matthieu del 2016, con Isabelle Adjani al centro di un inquieto dramma su mobbing e depressione professionale, e Le invisibili del 2018, ambientato in un centro di accoglienza femminile, stavolta punta l’obiettivo sull’integrazione di giovani migranti in una struttura della Francia settentrionale.

“Sì, Chef!”, agli ordini di chef Audrey Lamy

Tutto parte dalla conoscenza della sous-chef Cathy di Audrey Lamy, vera chiave di volta della vicenda, dalla grande passione e consapevolezza del suo valore al punto da farsi cacciare da uno dei ristoranti migliori del Paese. Il sogno è sempre lo stesso, aprire qualcosa di proprio e conquistare la stella Michelin, ma come? Trovare un lavoro non è facile come sembra, e quando la necessità la spinge ad accettare un’offerta piuttosto creativa in una sperduta località fuori città finisce per ritrovarsi nella mensa di un centro di accoglienza per giovani migranti. Inizialmente poco convinta, e per nulla entusiasta, in breve tempo riuscirà a ritrovare una straordinaria verve e a cambiare le regole del gioco. Riuscendo a imparare una importante lezione e a raggiungere un obiettivo che non avrebbe mai immaginato.

A tutti i costi

Attratto da sempre dalla commedia sociale, Petit resta su un territorio ben noto, insistendo su etica e seconde possibilità come temi portante del film, non così originale come lo si presenta – nonostante l’ispirazione sia quella della storia vera della chef Catherine Grosjean del lycée hôtelier di Treignac – eppure ricco di trovate gradevoli e di alcune interpretazioni convincenti. Da alcune delle caratterizzazioni dei meno esperti ospiti della struttura, a quella del François Cluzet di Quasi Amici e la Audrey Lamy intorno alla quale ruota tutto – e che tutto sostiene – già agli ordini del regista nel suo precedente film.

A parte l’istintiva simpatia e partecipazione, però, sono pochi gli appigli cui aggrapparsi per restare nel film e farsene conquistare completamente. Soprattutto con una storia che puntando tutto su genuinità e buone intenzioni procede per scorciatoie ed ellissi piuttosto importanti. In primis, quella – esagerata al punto da esser impossibile da giustificare – che porta al finale, perfetto per la favola moderna che sembra proporsi di essere, ma narrativamente forzato e dimentico di fin troppi fili abbandonati a sé stessi.

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Mattia Pasquini
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si-chef-la-brigadeA parte l'istintiva simpatia e partecipazione, però, sono pochi gli appigli cui aggrapparsi per restare nel film e farsene conquistare completamente. Soprattutto con una storia che puntando tutto su genuinità e buone intenzioni procede per scorciatoie ed ellissi piuttosto importanti. In primis, quella - esagerata al punto da esser impossibile da giustificare - che porta al finale, perfetto per la favola moderna che sembra proporsi di essere, ma narrativamente forzato e dimentico di fin troppi fili abbandonati a sé stessi.